Il tempo della riforma tributaria sembra avvicinarsi e la “progressività” destinata ad esserne tra i principi guida.
Il principio di progressività è scolpito dal secondo comma dell’art. 53 Cost. e ad esso si riconduce la funzione non solo contributiva, ma anche redistributiva del sistema tributario, quale ulteriore declinazione della funzione solidaristica di cui al primo comma e del principio di eguaglianza. Tale funzione non va tuttavia sopravvalutata: la funzione primaria dell’art. 53 Cost. rimane quella di garantire il concorso alle spese pubbliche, mentre il luogo più appropriato per le politiche redistributive rimane la spesa pubblica, sia pure rafforzando un sistema dei controlli non sempre adeguato.
È noto come, secondo la Corte costituzionale, l’art. 53, co. 2, Cost. esprima soltanto una norma direttiva o di principio per il legislatore ordinario e comunque riferita al “sistema” nel suo complesso: è quest’ultimo a dover essere “progressivo”, sicché imposte progressive, proporzionali e finanche regressive ben possono convivere tra loro.
In tale contesto un ruolo fondamentale, per gettito e struttura progressiva, è giocato dall’Irpef, il cui perimetro è stato tuttavia eroso nel tempo con l’introduzione di elementi di realità.
Non occorre però confondere la questione circa l’opportunità di un (poco realistico) ritorno alla comprehensive income tax, con la progressività del sistema attuale.
È sufficiente considerare che:
- il richiamo al welfare State sovente fatto a giustificazione di un’ulteriore progressività del tributo mostra limiti sempre più marcati, essendosi ampliato lo scarto tra chi concorre alla spesa pubblica e chi usufruisce del sistema dei benefici;
- la progressività non può essere valutata al solo livello dell’Irpef, dovendosi considerare l’intero sistema dei tributi e delle possibili manifestazioni di capacità contributiva, dei trasferimenti (anche pensionistici) e dell’accesso ai servizi pubblici;
- l’Irpef non ha affatto un problema di scarsa progressività nel suo complesso e reca anzi un importante contributo alla riduzione dell’indice di Gini: basti pensare che il 44% dei contribuenti dichiara meno di 15.000 euro l’anno, versando ca. il 3,8% dell’imposta totale, che il 32% dei contribuenti paga zero, che oltre la soglia di 55.000 euro si colloca il 4,5% dei contribuenti e che i ca. 30.000 contribuenti che dichiarano oltre 300.000 euro contribuiscono al 6% del gettito;
- l’aliquota massima Irpef (addizionali comprese) è tra le più elevate (47,2%) a livello EU-19 e oltre 4 punti percentuali sopra la media, i quali già in sé rappresentano un “contributo di solidarietà”;
- le “eccezioni” alla progressività non sono sempre tali, omettendosi ad esempio di considerare gli effetti complessivi dell’imposizione patrimoniale e reddituale; ciò sia per le rendite finanziarie – l’Italia rientra tra i pochissimi Stati al mondo che adottano patrimoniali reali sulla ricchezza finanziaria – sia per la cedolare secca sulle locazioni, in cui la combinazione dell’Irpef ordinaria e dell’IMU avrebbe effetti espropriativi (profilo ben più rilevante di quello connesso all’emersione della base imponibile e al maggior gettito);
- la ricchezza, immobiliare e finanziaria, è più concentrata del reddito, il che, considerando altresì l’esenzione della prima abitazione, accresce ulteriormente la progressività del sistema;
- ciò che erroneamente viene denominata “flat tax” per i lavoratori autonomi è una mera applicazione forfetaria dell’imposta, con una serie di effetti – modeste percentuali di deducibilità dei costi, non fruibilità di deduzioni e detrazioni, impossibilità di compensare le perdite ed indetraibilità dell’IVA sugli acquisti – che non ne consentono valutazioni aprioristiche.
La questione non è pertanto di rendere il sistema ancor più progressivo, anche attraverso un indesiderabile inasprimento dell’imposta successoria, bensì di porre fine alle attuali distorsioni. Si pensi, oltre alla ben nota questione dell’andamento erratico della curva: alla mancata ricostruzione della capacità contributiva nella sua dimensione personale, non riconoscendosi a tutti i contribuenti, indipendentemente dal reddito, quelle deduzioni e detrazioni per oneri di carattere necessitato che diminuiscono la disponibilità economica utilizzabile per il concorso alla spesa pubblica; alla penalizzazione dei nuclei monoreddito nonostante i plurimi inviti da parte della Consulta ad adottare meccanismi correttivi; allo stesso assegno unico per i figli a carico, che, facendo venire meno le detrazioni ed ancorandone la fruizione all’ISEE, rischia di minare la personalità e la progressività del tributo confondendo tra il sostegno al reddito e la diversa capacità contributiva delle famiglie; alla funzione delle deduzioni o detrazioni anche quale modalità per determinare il reddito al netto dei costi di produzione, sussistente ad ogni livello di reddito.
Sarebbe davvero già un gran bel risultato.
(Questo articolo già apparso sul Sole 24 Ore è ripreso con il consenso dell’autore dal magazine Luiss Open del 28 maggio – 3 giugno 2021 dell’Università LUISS di Roma)
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