La pandemia ha imposto agli europei restrizioni che ne stanno compromettendo la capacità di sopportazione, soprattutto per popolazioni che considerano intangibile la libertà di movimento.
Solo metà degli italiani e dei francesi (un po’ più per tedeschi e inglesi) sono convinti che i propri connazionali stiano rispettando regole e restrizioni: se ancora metà di italiani e tedeschi (un po’ di più per gli inglesi) sono convinti che le limitazioni siano più utili che dannose solo il 36% dei francesi è convinto che le misure siano utili mentre ben il 47% pensa siano dannose.
Quello che caratterizza gli italiani in quel sondaggio è il dato relativo alla tolleranza della vita in confinamento: se in Francia, Germania e Gran Bretagna il 50 per cento dei cittadini si dice abituato, tra gli italiani coloro che si dichiarano esasperati sale al 57%.
Non meravigliano allora i risultati di un sondaggio condotto da Euromedia Research di Alessandra Ghisleri per La Stampa dal quale risulta che solo un italiano su 3 afferma di sentirsi ancora forte per andare avanti in questa situazione: Il 30,6% degli intervistati sostiene di non farcela più psicologicamente mentre il 31,3% afferma di provare i primi sintomi di cedimento. Il 27,5%, invece, garantisce di essere forte e pronto ad andare avanti su questa strada mentre il 6,6% afferma di essere totalmente indifferente alla situazione.
Sono numeri che variano in base alle varie categorie (studenti, lavoratori autonomi o dipendenti, casalinghe, pensionati, disoccupati): i più esasperati sono studenti e casalinghe seguite dai disoccupati (35,8% di “non ce la faccio più”) e dagli autonomi (32,6%). Il 27,5% del campione invece si sente “ancora forte” e in grado di andare avanti: i più resilienti sono proprio i pensionati (34%) mentre gli studenti, provati dalla DAD, appaiono i più fragili. Oltre al 55% che non ce la fa più, un altro 20% dice di avere “i primi segni di cedimento nervoso: il 22,5% di loro indica la necessità di imparare a convivere con il virus contro l’8,4% del campione nazionale.
Tra i territori nel Nord si registrano i picchi dei primi segni di cedimento, in particolare con il Nord Est al 45%.
Solo il 26,8% degli intervistati si dice favorevole ad un prolungamento delle misure anti-contagio in vigore fino al prossimo 1° maggio : due intervistati su tre ( il 64,3% del campione) , per motivi diversi non vorrebbe estendere nelle aree arancioni queste restrizioni alle quali, specialmente nel Centro e Sud Italia, solo un intervistato su 3 afferma di essere favorevole.
I motivi della contrarietà sono diversi. Al primo posto, con il 15,8%, vi è la preoccupazione per l’economia: secondo gli intervistati lavoro ed attività non potranno reggere ancora a lungo a questa situazione. Al secondo posto, al 12,8%, vi è l’idea che le restrizioni non vengano rispettate e che ci siano pochi controlli.
Ben il 60% degli intervistati – ma è il 65,5% tra gli studenti – sono a favore delle riaperture delle scuole anche nelle Regioni dichiarate rosse
Fiorenza Sarzanini in un articolo su Io donna dedicato al peso delle chiusure sulla tenuta delle famiglie, con l’incremento delle separazioni e dei divorzi mette l’accento sui gravissimi danni creati anche ai figli “ Secondo don Giovanni Fasoli, psicologo e docente dell’Università Iusve di Venezia-Mestre «le evidenze scientifiche dimostrano che il lockdown per bambini e ragazzi non è stato solo un isolamento forzato finito quando abbiam riaperto le porte di casa, ne rimangono tracce che vanno oltre o …. Gli studi ci dicono che queste tracce assumono nella maggior parte dei minorenni caratteristiche somatiche ci sono frequenti disturbi d’ansia, sensazione di fiato corto, significativi disturbi del sonno, instabilità emotiva espressa da irritabilità e cambiamenti del tono dell’umore. È quindi l’impatto psicologico che dobbiamo considerare. Alcuni giovani si sono sentiti come se su di loro fosse passato un treno che li ha trasformati in dead man walking. Siamo di fronte a disturbi post traumatici da stress, che certo assumono forme e si manifestano con sintomi molto differenti, ma dobbiamo prendercene cura».
Il premier Draghi abbia presenti questi danni irrecuperabili, assieme ai deficit permanenti nell’apprendimento per decidere sulle nuove misure: se asserragliarsi nella Maginot della chiusura ad oltranza o assumersi il rischio di investire sul futuro dei giovani.
Si corre il rischio di approfondire la frattura generazionale che divide i giovani, i millennial i nativi digitali e la popolazione più anziana: se si pensa che tra pensioni ed assistenza per gran parte destinata ad anziani se ne va il 30% del Pil ed un altro 7% se ne va per la sanità, spesa assorbita in gran parte dagli ultimi anni di vita mentre alla scuola va poco più del 4% appare chiaro come siano gli anziani per il loro futuro ad aver bisogno dei giovani, che purtroppo non sono hanno alcuna efficace rappresentanza politica.
Prendano il futuro nelle loro mani, impongano la loro agenda: senza quegli scontri di piazza che secondo un sondaggio di ottobre 2020 sulle reazioni alla stretta – sempre di Euromedia Research- erano temuti (o auspicati, secondo la collocazione politica) da più di tre italiani su quattro (77,5%).
Fortunatamente non si sono verificati, la rivoluzione può attendere, alla fine «In Italia non si può fare la rivoluzione, perché ci conosciamo tutti» (Leo Longanesi).
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