Zingaretti si dimette, si vergogna del suo partito di cui lui è segretario, da due anni, con il 66% dei voti delle primarie e il 47% dei voti degli iscritti. Non c’è sede in cui si discuta di tale affermazione, mai usata da nessun segretario di partito dal 1946 ad oggi.
Tutti zitti, soprattutto i tre ministri che sono stati al centro delle “poltrone” e dei “posti”. Termini usati da Zingaretti, che però appartengono più a un linguaggio grillino che a uno di tradizione comunista. Si vede che le cattive frequentazioni grilline (anche per la formazione della Giunta del Lazio) influiscono e modificano persino il linguaggio oltre che l’approccio alla politica. Da sempre, la politica appunto è fatta di ideali, di valori e di lotta per il potere, per i posti, per le poltrone. Ma come per i grillini, ci sono poltrone (in senso spregiativo) o privilegi (le famigerate auto blu) solo quando sono degli altri.
Comunque, Zingaretti si dimette e senza fare una piega in men che non si dica, senza dibattito politico e pubblico, i capicorrente si ritrovano a proporre un altro. Gli stessi, ma proprio gli stessi (Franceschini, Orlando, Guerini, Cuperlo, Emiliano, Serracchiani, Gentiloni, Bettini, Fassino, Orfini, Zanda, ecc. c’erano allora anche D’Alema, Bersani, Speranza) che sette anni fa l’avevano fatto fuori da presidente del Consiglio, in malo modo ( direzione PD: 136 voti per mandarlo a casa, 2 astenuti e 16 civatiani contrari), oggi mettono Letta a fare il segretario. Senza discussione, senza chiarimenti, senza approfondire nulla di nulla.
In quella occasione, sette anni fa, Prodi disse “osservo, penso ma non dò giudizi” (espressione tipica di un paraculo, detto senza nessuna offesa). Il grande stratega del PD, Goffredo Bettini (dove c’è lui, c’è la garanzia del fallimento) disse che “si doveva passare dalla continuazione di una certa storia di governo tecnico (Letta) a un governo politico (Renzi)”. E anche i cosiddetti “lettiani” che allora non parteciparono al voto, in questi anni si sono collocati, soprattutto con Renzi : classico il caso della Ascani che è diventata più renziana di Renzi, fino a poco tempo fa e poi si è fatta una corrente sua (sic!). O sono diventate ” zingarettiane”, vedi De Micheli.
Orbene, senza battere ciglio, le correnti nominano il salvatore del partito nella persona di Letta, che per carità non vuole l’unanimità, salvo accettare di essere eletto, senza dibattito, da una votazione di stampo bolscevico : 860 voti favorevoli, 2 contrari e 4 astenuti. E intanto i tre ministri non fanno una piega, ci mancherebbe altro: i segretari cambiano, ma loro ministri rimangono, per volere del popolo (ovvero, delle loro correnti che li preservano da qualsiasi terremoto).
I partiti personalistici sono altri, qui si designa il segretario a tavolino, si convoca l’assemblea nazionale e il gioco è fatto. Del congresso non se ne parla, se non nel 2023. Intanto chi decide le alleanze per le amministrative, e per le politiche probabili nel 2022 dopo l’elezione del Presidente della Repubblica ? Il segretario con le correnti, ovvio.
Però il nuovo segretario ha chiesto “verità nei rapporti tra di noi” e mi sembra di sentire la sua conferenza stampa di sette anni fa, prima della direzione del PD: “Ognuno deve pronunciarsi. Ognuno deve dire cosa vuole fare e soprattutto chi vuole venire qui al mio posti. Ognuno deve giocare a carte scoperte. Se mi andasse male, potrei andare ad insegnare pratiche zen”. Ha preferito Parigi, giustamente. Vedremo dunque. Certo che l’inizio, con il plebiscito senza discussione politica, sembrava più un conclave per l’elezione del Papa che l’assemblea di un partito politico.
(Questo articolo con il consenso dell’amministratore del blog è ripreso dal sito www.ilmigliorista.eu)
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