Un anno dopo
Fra pochi giorni sarà passato un anno dall’uscita su Il Mattino di Napoli di un mio articolo, “Riflessioni sulla gestione della pandemia Coronavirus in Italia”. Era uscito la mattina di Pasqua, il 12 aprile 2020. Scrivevo che la fisica dell’aerosol dice chiaramente che non si può ignorare il contagio airborne, cioè da particelle che viaggiano ben oltre il metro del distanziamento che viene raccomandato, conservando la loro carica infettiva. Che anche all’aperto questo può avvenire, anche per percorsi di centinaia di metri se non chilometri, e che si doveva campionare l’aria in alto volume per cercare, e conteggiare, il virus, non fare solamente tamponi alle persone. Infine sottolineavo il ruolo delle precipitazioni nell’abbattimento di tutto l’aerosol, incluso l’aerosol contente il vibrione, termine questo usato per il virus in aria. Scrivevo che dopo ogni precipitazione si dovesse quindi soprapporre alla mappa della pioggia quella dei contagi, slittata di cinque sei giorni, il tempo di incubazione. Su questa sovrapposizione si sarebbe dovuto basare il complesso delle restrizioni alla popolazione, per renderle efficaci, minimizzando i disagi personali ed i danni economici. Tra l’altro questo spiegava benissimo come la pianura padana, dove non pioveva da più di due mesi fosse in piena pandemia, mentre il centro sud, dove passavano perturbazioni una dopo l’altra, era risparmiato.
Ebbene, a distanza di tempo è lecito chiedersi che ne è stato di quell’articolo. E’ stato quasi completamente ignorato, a parte un trafiletto, di pochi giorni dopo, di Rita Bartolomei sul Resto del Carlino e di Senaldi sul Tempo. E Rita Bartolomei è stata diffidata dal suo direttore dall’intervistarmi, mentre Senaldi non ha più insistito. Per il resto silenzio assoluto, nonostante le migliaia di ore di talk show che hanno imperversato su tutti i possibili aspetti della pandemia. La ragione è duplice: da una parte la settorialità della scienza, la separazione fra i diversi settori disciplinari, per la quale uno scienziato anche serio può permettersi di ignorare quanto viene conseguito in altri campi e la seconda il corporativismo che vede il settore medico, epidemiologi e virologi in prima linea, monopolizzare il Comitato Tecnico Scientifico, organo di consulenza del governo, nel quale non è presente, a mia conoscenza, nessun fisico dell’atmosfera. Ma le conseguenze di questa omissione, e del mancato dialogo fra epidemiologi e fisici, sono enormi, su due fronti, quello della individuazione delle cause del contagio, e relativa loro importanza, e quello delle indicazioni da dare ai cittadini ed alle popolazioni per limitare il contagio, consentendo nel contempo di svolgere le attività, minimizzando l’enorme danno economico arrecato dalle misure restrittive, alcune delle quali prese nella parziale ignoranza del quadro complessivo.
La mancata comunicazione fra le due comunità scientifiche ha due ordini di conseguenze: da una parte viene ignorato, come ricordato, il contagio via aerosol e dall’altro non viene considerato il ruolo dell’atmosfera, sia nel trasporto diffusivo delle particelle che nella loro rimozione con le precipitazioni.
Vediamoli separatamente. Lo sternuto, la tosse, il fiato del parlato, oltre alla goccioline visibili, rilasciano una miriade di molto più piccole che evaporano rapidissimamente e lasciano ciascuna come residuo una particelle di aerosol misto (contenenti il virus, del sale come residuo della saliva, cellule morte, colesterolo etc) ,particelle troppo piccole per essere catturate delle fibre della mascherina, sia del contagiante che del contagiando. Esse sono tanto piccole da non avere una velocità di caduta apprezzabile. Rimangono pertanto sospese in aria e seguono le vicissitudini di tutte le altre particelle sospese, seguono la turbolenza sia negli ambienti chiusi (indoor) che all’aperto. La loro attività, che si credeva limitata nel tempo alle due tre ore, si dimostra in studi recenti che si può mantenere anche per diversi giorni. Quali le conseguenze nel riconoscere come importante questa forma di contagio? Certamente mascherina e lavaggio delle mani sono, e rimangono, importantissimi come raccomandazioni, ma non bastano. Fondamentale è negli ambienti chiusi il ricambio dell’aria con aria esterna, il controllo maniacale degli impianti di riscaldamento e condizionamento che riciclano la stessa aria. E’ pericoloso affidarsi ai filtri di questi impianti. Anche se cambiati con frequenza non sono filtri assoluti e basta un positivo a contagiare tanti altri che respirano la stessa aria riciclata. All’esterno poi bisogna tenere rigorosamente distanze maggiori di quelle raccomandata anche se si porta la mascherina. Chi fa jogging dietro ad un contagiato ne può respirare l’aria da lui emessa. Altra conseguenza è che il lockdown può aiutare ma non risolve, perché il contagio da aerosol è efficacissimo negli ambienti chiusi, anche da stanza a stanza. Lavori scientifici molto seri dimostrano la persistenza del virus nelle feci e la produzione di goccioline dagli sciacquoni, il lockdown non elimina queste fonti di contagio, senza contare che in casa difficilmente si indossa la mascherina. Bisogna poi rendersi conto dell’importanza di fare campionamenti dell’aria ad alto volume su filtri assoluti, sia all’interno che all’esterno, La determinazione del carico virale va fatta routinariamente sia in microscopia elettronica che nei laboratori di virologia. E’ imperdonabile che le centinaia di microscopi elettronici del paese siano stati inattivi e le aree di ricerca chiuse mentre medici ed infermieri morivano, e muoiono, assistendo i pazienti nelle terapie intensive e nelle corsie.
Ho accennato all’inizio ad un altro motivo per coinvolgere la fisica dell’atmosfera nella gestione della pandemia. I processi fisici che avvengono all’interno delle nubi e durante la precipitazione al suolo sono talmente efficaci (pioggia, neve, nebbie precipitanti) da rimuovere completamente le particelle dall’aria, incluse quelle che hanno in sé il virus. E’ come se azzerassimo completamente le concentrazioni delle particelle sospese. Purtroppo la storia dell’ignoranza si ripete. In questo caso la sorgente non è una centrale nucleare che scoppia ed immette in atmosfera il materiale radioattivo, ma sono i tanti individui che contagiano, sono sorgenti distribuite. Ci fu chi, dopo l’incidente di Chernobyl, ed il conseguente trasporto su tutta l’Europa del materiale radioattivo, non si capacitava che la radioattività non fosse uniformemente distribuita al suolo. Chi ignorava i processi di rimozione non era in grado di collegare i valori elevati di radioattività alle zone dove era caduta la pioggia.
E legittimo che i lettori si chiedano: perché questa indifferenza, o meglio questo volere, di proposito, ignorare aspetti così importanti nella gestione della pandemia come quelli ricordati? E’ possibile che negli altri paesi succeda lo stesso? Succede lo stesso, ma non in questa misura, quasi tragica. Diciamo anzitutto che si sono levate internazionalmente numerosissime voci di scienziati, e sono stati pubblicati lavori molto seri sul contagio airborne, e potrei compilare una bibliografia molto corposa a riguardo. C’è stata una lettera di più di trecento fisici all’Organizzazione Mondiale della Sanità per sottolineare che questa forma di contagio non può essere trascurata. Sono arrivati un po’ dopo, mentre io l’ho detto subito, appena si é palesata l’epidemia, basta essere sicuri della scienza propria. Tuttavia bisogna tenere presente che anche nella fisica ci sono “parrocchie” diverse: i teorici, i fisici delle particelle elementari, gli astrofisici, i fisici delle stato solido, i geofisici. Fra i geofisici ci sono i meteorologi dinamici, gli oceanografi, i fisici dell’atmosfera. Fra questi, i fisici delle nubi, delle precipitazioni e dell’aerosol atmosferico, che masticano bene i processi microfisici, sono a loro volta una piccola minoranza, per di più molto snobbati dagli altri, perché raramente devono tirare in ballo la quantistica, gli basta quasi sempre la fisica classica e sono trattati dagli altri come i contadini che si permettono di entrare in salotto altrui on gli zoccoli infangati. Però viene il loro momento, che é questo. I paesi storicamente di punta nella fisica dell’aerosol sono la Germania, gli USA, poi inglesi, francesi, finlandesi, giapponesi. In Germania infatti cominciano a circolare dei video sulla gestione della pandemia per il grande pubblico, che considerano seriamente il contagio airborne. C’é sempre il predominio dei medici sui fisici, di tutti gli altri fisici sui fisici dell’atmosfera e dell’aerosol, ma ad un certo punto si fa strada la verità. In Italia simo ancora alle consorterie, allo zittire chi pensa diversamente. Contattate un chimico serio come Gianluigi De Gennaro dell’Università di Bari che ha pubblicato un lavoro serio sul contagio airborne e ha subito le stesse mie “persecuzioni”.
Un paese che rispetta la scienza sa mettere in campo tutte le proprie risorse. Una caligine è calata da molti anni sul paese. Il disprezzo per la scienza si fa sempre più strada ed il potere decisionale è spesso in mano a poveretti sprovveduti. L’Italia non merita questo, l’Italia che ha regalato la scienza, la cultura e l’arte al mondo. Purtroppo i bravi sono anche buoni e lasciano fare per buonismo. Ma è ora che i bravi si sveglino.
(Questo articolo è apparso su “Il Mattino” del 15 marzo u.s. e viene qui ripreso con il consenso dell’autore.)
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