Lungi da me voler entrare nei meandri delle recenti vicissitudini del partito cui sono iscritto: il PD.
Di labirinti mi basta e avanza quello del parco di Collodi, ma qui saremmo più vicini a quello di Cnosso con Arianna, Teseo e il Minotauro: un compito di gran lunga superiore alle mie forze.
Vorrei piuttosto dire cosa ne penso di una proposta messa in campo (non è la prima volta) dal nuovo segretario, cui auguro i più smaglianti successi: il voto ai sedicenni.
Non voglio certo scomodare Platone quando diceva che “per il bene degli Stati sarebbe necessario che i filosofi fossero re o che i re fossero filosofi.”
Mi limito a far presente quanto la nostra società attuale sia mille miglia più complessa di quella che spinse il grande filosofo greco a individuare nel SAPERE l’insostituibile requisito per affrontare i problemi dello Stato, che allora era la polis, la città, e che comunque erano considerati quelli di genere più nobile, complesso ed elevato.
Solo i migliori avevano il diritto di occuparsi dello Stato, questo era il compito più alto di tutti e nel 400 avanti Cristo lo Stato era la città.
Mi basta piuttosto ricordare quando mia madre, mezzo secolo fa, faceva presente a me, ventenne e come tale rivendicatore della completa maturità e del diritto all’autonomia, ma in realtà semplice studente universitario del tutto dipendente dai genitori, che: “Quando ero giovane un ragazzo di vent’anni molto spesso era già padre ed aveva la responsabilità di una famiglia da mantenere, mentre tu hai solo quella di dare gli esami”.
Non si può negare che oggi quel periodo cui alludeva mia madre sia ormai un fossile del tutto scomparso e che i tempi delle vere responsabilità si siano spostati patologicamente molto avanti. Quello che prima coinvolgeva a venti anni (lavoro, famiglia) oggi, se va bene, arriva dieci/quindici anni dopo, ed allora che senso ha votare a sedici anni?
Insomma com’è possibile che in un periodo assai meno complesso dell’attuale si votasse a ventuno e via via che le cose si complicano fino a coinvolgere sempre non più la città, ma il mondo, si abbassi a sedici anni l’età dell’elettorato attivo?
Rispetto ad oggi negli anni Sessanta il mondo era assai più semplice e comprensibile: l’orizzonte era nazionale, non planetario.
Se studiavi ragioneria diventavi ragioniere, se architettura architetto. Trovavi un lavoro e questo ti portava fino alla pensione. Orientarsi era abbastanza semplice, ma nessuno avrebbe fatto votare un sedicenne, oggi è tutto cambiato, è completamente un altro mondo e quel “… basta un click” è solo una profonda mistificazione.
Tutto è solo molto più complicato. Non ci sono più gli analfabeti in senso classico, ma i cosiddetti “analfabeti di ritorno”: qualcosa hanno studiato, ma la complessità del mondo che li investe è esorbitante rispetto a quello che hanno appreso, quindi spesso non capiscono nemmeno il senso di ciò che sono costretti a leggere per risolvere anche banali problemi di vita quotidiana.
Se ho capito bene, la “maggiore età” rimarrebbe a diciotto anni, ma si voterebbe a sedici?
Cioè quell’ambito che Platone riservava ai filosofi diverrebbe qualcosa di evidentemente meno complesso dell’iscrizione al tiro a segno, della licenza di caccia o di pesca, della patente di guida?
Già il diritto di voto può esercitarsi col possesso del requisito dell’età e basta, almeno non abbassiamola, mentre qualunque altra attività richiede un minimo di conoscenza ed una attestazione pubblica di capacità: non posso venire a casa tua ad accomodare un elettrodomestico se non ho una abilitazione legale a farlo, non posso guidare una barchetta di due metri senza l’apposita patente, ma posso eleggere deputati e senatori senza sapere un cazzo di niente in materia e anche beandomi di ciò, come testimoniano numerosissime interviste “ai ggiovani”.
Ne metto una solo a titolo di esempio: https://youtu.be/h-6FKfC_DYA.
Per quanto mi riguarda credo che una proposta giusta debba essere mantenuta anche se fa perdere voti, ma sostenerne una sbagliata, magari nella speranza (secondo me, tra l’altro, illusoria) di prenderli, è davvero problematico.
Quella di portare il voto a sedici anni fa parte delle classiche proposte ammalianti che in genere passano in Parlamento votate da tutti i partiti: chi se la sentirebbe di dare degli immaturi ad una cospicua parte dei potenziali futuri elettori? E poi occorrerebbe depotenziare la proposta: perché farne l’appannaggio identitario di una singola forza politica? Perché regalare al PD questa paternità?
Letta dice di sapere che la sua è una proposta divisiva, credevo ci fosse bisogno del contrario, invece per me è la classica sortita nazional popolare del tipo la patente ai sedicenni. Prima si dice che è divisiva, poi diventa l’occasione per la più ampia unanimità parlamentare.
Credo tuttavia che l’apertura di questa possibilità non premi affatto automaticamente chi la sostiene: ciascuno vota con la propria antropologia, sulla base la propria percezione del mondo, chi ha dato la possibilità di farlo è solo l’usciere che ha aperto la porta.
Non facciamoci illusioni. Non prenderai consensi elettorali perché hai aperto a qualcuno l’accesso alle urne, ma perché il mondo che rappresenti coglie le sue aspirazioni, le sue credenze di fondo.
Nessuno ti voterà perché lo hai fatto votare, mentre rappresenti magari l’opposto di ciò in cui crede.
Se per famiglia intendi solo quella nata dal rapporto sessuale tra un uomo e una donna e consacrata dal matrimonio ecclesiastico, se credi che l’Italia sia la casa degli italiani e che questi non possono essere “negri”, cercherai di eleggere chi la pensa così, anche se era contrario a farti votare.
Risibile e fuorviante sarebbe infine l’argomento che la proposta del voto ai sedicenni servirebbe a contrastare l’astensionismo. Unico modo: fare della politica una cosa bella, coinvolgente, pulita.
Beninteso esprimo tutto questo a puro titolo strettamente personale.
Insomma “absit iniuria verbis”.
S’andrà Bianchini
Tutto condivisibile fuorché la superficialità verso il pensiero leghista. Per coinvolgere tutti nella “bella e pulita politica, ” bisogna iniziare a rispettare e conoscere le idee dell’avversario.