Da quando è cominciata la pandemia, si è registrata una inversione di tendenza dell’opinione pubblica sull’Unione Europea. Non solo in Italia, ma un po’ dovunque la critica nei confronti della UE e dell’Euro, per come era stata gestita la crisi finanziaria mondiale del 2007-8 e per le conseguenze economiche negative che ne sono derivate nei paesi che avevano aderito all’Euro, ha lasciato il posto alla domanda di più Europa.
Due fenomeni molto diversi, ma tutti e due legati alla globalizzazione, hanno provocato prima un’ondata di euroscetticismo e poi un ritorno di consenso verso l’Europa, che si è espresso anche nelle recenti elezioni in Olanda. Elezioni che meritano una riflessione, specialmente per noi italiani. Il vincitore delle elezioni è ancora una volta Mark Rutte, 54 anni, capo del Partito popolare per la libertà e la democrazia, mentre sono calati i consensi per la destra antieuropea di Geert Wilders. Prima dell’uscita dell’Inghilterra dall’Unione, Rutte guidava i “Paesi frugali”, Austria, Danimarca, Svezia, Finlandia e Paesi baltici, contro i “Paesi indebitati”, cioè Italia, Spagna e Francia. Senza il sostegno della Gran Bretagna, Rutte ha lasciato alla Germania il ruolo di mediare.
All’inizio del 2020, quando si è cominciato a discutere del bilancio pluriennale dopo la Brexit, si poteva pensare, già allora, ai Recovery Bond per fronteggiare la crisi dei paesi indebitati, ma i “Paesi frugali”, guidati dall’Olanda, erano contrari. Poi la pandemia ha cominciato a colpire duramente, prima l’Italia, poi tutti gli altri, compresa l’Olanda che ha visto crollare il suo Pil. Si è aperta, così, la strada alla mutualizzazione del debito europeo.
In effetti, fra il 2020 e il 2021, l’UE ha varato un piano di erogazione di sovvenzioni e prestiti ai singoli stati, i programmi SURE e Next Generation Eu, più il Quadro Pluriennale per il periodo 2021-2027 per un valore di 1.824,4 miliardi di Euro. In parte finanziati con risorse proprie dell’UE e in parte con indebitamento diretto dell’UE sui mercati finanziari internazionali. Chiaramente i costi di questa operazione sono da considerare più convenienti rispetto a quelli che dovrebbero sostenere i singoli stati, specialmente quelli come l’Italia che presentano deficit molto elevati e tassi di sviluppo non esaltanti. Questo, destra o sinistra, dovrebbero capirlo. Qualcuno dovrebbe spiegarlo anche a coloro che sostengono l’attuale governo presieduto da una persona come Draghi, che queste cose le conosce bene.
Così come si dovrebbe riflettere sul fatto che per la prima volta con il Discorso sullo stato dell’Ue della Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è affermato il principio della solidarietà fra gli stati aderenti. Un principio che è stato già applicato nella ripartizione delle risorse del Next Generation Eu. Con riferimento preciso alla popolazione dei singoli stati, al tasso di disoccupazione e al calo del Pil reale negli anni 2020-21. Il programma si basa sui collaudati principi dell’economia sociale di mercato volta alla resilienza, perché finalizzata a proteggere dai rischi di malattia, disoccupazione, povertà, ecc. Tutto questo all’interno di un programma di lungo periodo volto a garantire sviluppo attraverso l’innovazione e la trasformazione digitale, la salvaguardia e la protezione dei lavoratori e delle imprese, la salvaguardia dell’ambiente naturale ecc. Ora per realizzare tutto questo l’Unione Europea dispone di un sistema istituzionale assai complicato e farraginoso. Si pensi alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDE), al Trattato dell’Unione Europea (TUE), al Trattato per il funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), tutti affermati nel Trattato di Lisbona del 2007 sino ai testi attuali.
Questo per dire che il progetto europeo contiene insieme principi di civiltà e principi economici. Sin dal Trattato di Roma del 1957, che diede vita alla Comunità Economica Europea, e poi dal Trattato di Maastricht del 1992, che fondò l’Unione Europea, non si è trattato solo di un progetto economico e di libero scambio, ma di una condivisione di valori di civiltà, dalla giustizia sociale alla pace, al suo interno e all’esterno.
Ora siamo nel mezzo di una svolta epocale, ancora una volta indotta da un agente esterno, nel senso che la globalizzazione crea opportunità, ma anche grandi rischi.
Davanti a questo occorre che nel dibattito sul futuro dell’Unione, varato dalla Presidente Ursula von der Leyen, si pongano sul tappeto le basi reali da cui bisogna partire per affrontare la sfida terribile della pandemia e quella della ripresa economica e sociale.
L’ISFE è nata per questo e da Firenze farà sentire le sue proposte. In primis quelle inerenti alla riforma delle istituzioni europee per renderle più efficienti e meno burocratizzate, come si è visto con la questione dei vaccini. Poi per evitare strappi in avanti, che potrebbero portare a nuovi fallimenti, come accadde nel 2005 con il rigetto del progetto costituzionale. Del resto siamo invitati a farlo dallo stesso programma varato ufficialmente per discutere del futuro della UE.
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