Ricordo con nostalgia l’esame di economia aziendale all’università (troppi anni fa ormai…). Ricordo soprattutto un insegnamento ricevuto: le aziende si valutano per la loro solvibilità, liquidità e redditività, ma se la prima diventa insolvenza (ovvero tecnicamente il suo indice di riferimento va sotto il livello di 1), non parleremo più nel breve termine di liquidità e neanche di redditività. Non parleremo proprio più di quella azienda. Lapalissiano. La pandemia, come noto, oltre alla tremenda eredità sanitaria, ha comportato anche una voragine di carattere economico: molte aziende spendono più di quanto guadagnano, per far fronte al pagamento di interessi passivi (per l’appunto un problema di solvibilità).
Uno sconosciuto (ai più) economista cileno (Caballero) era già balzato agli onori della cronaca economica con uno studio in cui, per farla breve, aveva teorizzato che in un contesto economico di scarsa produttività, bassa inflazione e ridotti investimenti e l’utilizzo di politiche monetarie ultra-espansive (esattamente le condizioni di oggi) ci sarebbero state una moltitudine di “aziende zombie”, che sarebbero sopravvissute solo per il contesto di favore garantito dalle banche centrali ( politica monetaria) e dai governi ( politica fiscale).
Aveva Caballero intuito che ci sarebbe stata una pandemia mondiale? No, non credo, semplicemente aveva studiato la economia giapponese, che si trovò per condizioni similari e per un decennio almeno in una fase di grave stagnazione, atipica rispetto allo stato di salute delle altre maggiori economie mondiali e che aveva ispirato numerosi studi in materia (se ne era già parlato anche in un Tocco di Alviero del 09/12/2019).
Un recente studio dell’Istituto della finanza internazionale ha messo in luce che nel 2020 il numero di aziende manifatturiere con gravi problemi di solvibilità è cresciuto del 160%sul 2019. Stiamo parlando di aziende sane fino al 2019 che hanno avuto un crollo del fatturato a causa della pandemia.
Saranno dunque destinate a diventare tutte “aziende zombie” e avremo una giapponesizzazione della economia mondiale?
Non per forza. Il drastico peggioramento degli indici di solvibilità a causa della crisi non si è ancora accompagnato ad un aumento del tasso di insolvenza (grazie alle pronte risposte di politica monetaria e soprattutto fiscale), non c’è stata la stretta creditizia paventata (come nella crisi del 2008) e le aziende hanno attinto nuova liquidità anche attraversoemissioni obbligazionarie record (2.100 miliardi di dollari circa di nuove emissioni).
La fase più acuta della crisi sembra dunque essere passata.
L’incognita semmai riguarda il prossimo futuro in cui verranno (presto o tardi) allentati gli aiuti pubblici (sussidi, cassa integrazione…) e molte aziende si troveranno da “digerire un sacco di debito”. Basandoci sull’esempio di successo giapponese, auguriamoci che più che un “sacco”, possa bastare un buon “sakè”..
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