Quando nell’estate del 2019 si parlava di dar vita ad un nuovo governo Conte, sia pure con una maggioranza diversa dal Conte I, il PD, con molte ragioni, cercò di bloccare l’”avvocato del popolo”. Poi, visto che il M5S non sentiva ragioni, Zingaretti, pur di non tornare al voto, ne accettò la riconferma. Da quel momento per il segretario Dem è stata tutta un’escalation. Prima ha detto che Conte era “una risorsa per tutto il centro sinistra”, poi da risorsa lo ha promosso a “federatore”, infine, nel tentativo di farlo restare a Palazzo Chigi con una nuova maggioranza, ancora diversa dalle prime due, ha lanciato l’hashtag “o Conte o morte” nel tentativo, subito abortito, di obbligare gli avversari ad accettare le sue condizioni.
In nemmeno due anni il PD ha fatto diventare quello che era l’uomo individuato dai grillini come Presidente del Consiglio un leader, anzi “il” leader, dell’intera coalizione PD-M5S-LeU e come tale lo ha accreditato di fronte all’elettorato.
Ora, come era prevedibile, il leader e il federatore si appresta a tornare formalmente nella casa grillina per assumersi la gravosa responsabilità di rilanciare il MoVimento. E il “buon” Zingaretti resta con un pugno di mosche in mano. Anzi, pesa su di lui come una spada di Damocle il pericolo che Giuseppi, forte del suo status di “leader e federatore”, tenti di portargli via un po’ di voti, soprattutto di quella parte, che nel PD è maggioritaria, che nei mesi scorsi si scaldava il cuore al fuoco di una stretta unità d’azione fra i partner della maggioranza del Conte II, Italia Viva esclusa naturalmente.
Vedremo gli sviluppi della questione. Ma è chiaro che Conte, se l’operazione andrà avanti come sembra, avrà il compito prima di fermare l’emorragia nei confronti dei fuoriusciti e poi di cercare di recuperare i consensi perduti. E quale terreno di caccia migliore di quello del PD? Un partito che in questi ultimi anni ha avuto soprattutto la preoccupazione di dimenticare e far dimenticare l’esperienza riformista di Renzi. Certo, Renzi ha fatto errori ma la direzione di marcia era quella giusta. Il PD avrebbe dovuto continuare su quella strada, consolidando un processo appena iniziato. Invece ha fatto l’esatto contrario. Ha pensato di tornare alle vecchie parole d’ordine: statalismo, assistenzialismo, un po’ di demagogia. Non si è reso conto che il tempo non passa invano e che quello spazio ormai era occupato da un nuovo soggetto molto più credibile e agguerrito. Un soggetto, fra l’altro, e un leader, che negli ultimi tempi lo stesso PD ha accreditato come punto di riferimento della sinistra.
Non c’è quindi da meravigliarsi se ora Conte, nella sua nuova veste di punta di diamante del grillismo di governo, lancerà un’OPA ostile sul PD.
Del resto il tentativo di OPA dei grillini sul PD non è una novità. L’aveva già tentata lo stesso Grillo nel 2009 quando voleva candidarsi alle primarie del Partito Democratico a cui erano già iscritti Bersani, Franceschini e Marino. In quell’occasione scrisse sul suo blog “Ci sono milioni di elettori del “PDmenoelle” che vorrebbero avere un “PDcinquestelle”. Con questo apparato non hanno alcuna speranza. Il “PDmenoelle” è l’assicurazione sulla vita di Berlusconi. È arrivato il momento di non rinnovare più la polizza.”
Travaglio e Di Pietro applaudirono. Ma il partito, allora, non ammise la candidatura e bloccò l’OPA sul nascere.
Ora i tempi potrebbero essere maturi, grazie agli ultimi avvenimenti, alle continue aperture di credito al grillismo fatte da Zingaretti e a quel sentiment che alberga ancora in tanta parte del PD e che Grillo, nel 2009, aveva ben individuato.
Certo, amaro destino quello del segretario Dem. Per combattere Renzi e la sua politica si è allevato in seno una serpe che ora tenta di strangolarlo. Pensava di riportare a casa un elettorato “in libera uscita” e non si è accordo che stava creando le condizioni per cedere una parte del suo, come ampiamente dimostra anche l’ultimo sondaggio SWG.
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