La parola “autarchia” farà sicuramente storcere il naso a molti, memori di quando il Duce, intorno alla metà degli anni Trenta, varò la politica dell’autosufficienza alimentare; secondo lui necessaria, visto che le nazioni europee avevano deciso l’embargo commerciale contro l’Italia colpevole di aver conquistato l’Etiopia (guai a muovere un dito in Africa senza il consenso di Francia e Inghilterra, autentiche potenze imperialiste dell’epoca).
Ma se l’autarchia nel settore alimentare (che costrinse i nostri nonni a dire addio per quasi un decennio a quella deliziosa bevanda aromatica che in seguito avrebbe ispirato i versi in musica di un grande poeta: Ah che bell’o café/ pure in carcere ‘o sanno fa / Co a ricetta ch’a Ciccirinella / compagno di cella, c’ha dato mammà) fu più che altro un gesto simbolico, racchiuso nell’invito ad acquistare solo prodotti italiani, la questione dell’autarchia vaccinale dei nostri giorni, beh, questa è una cosa seria; e quindi da ora in poi evitiamo di chiamarla autarchia, se non vogliamo far scattare il riflesso condizionato dell’antifascismo che potrebbe guastare la festa della ritrovata concordia nazionale.
L’autosufficienza vaccinale, ovvero l’idea di produrre vaccini anti-Covid in Italia per garantirci dai mancati approvvigionamenti da parte delle grandi industrie farmaceutiche, non sarebbe un puro gesto simbolico, ma trattasi di un piano concreto su cui si è discusso in un incontro al Mise tra il ministro Giorgetti e il presidente di Farmaindustria Massimo Scaccabarozzi.
L’incontro è stato -a quanto pare- fruttuoso, tanto che ne è già stato calendarizzato un altro per il 3 marzo, nel quale si dovrebbe verificare con dati alla mano la possibilità di creare un polo nazionale pubblico-privato per la produzione di vaccini.
Ovviamente nessuno immagina che il progetto possa realizzarsi nell’immediato, e offrire così un rimedio alla carenza di vaccini che attualmente sta mettendo in crisi la prospettiva di vaccinare il 70% degli italiani entro l’autunno, come era stato previsto. Ma nel medio-lungo periodo l’ipotesi di riconvertire i poli farmaceutici già esistenti in Lazio e Lombardia verso la produzione di vaccini, sembra essere la soluzione giusta per il futuro, visto che avremo a che fare ancora per un bel po’ con le varianti del virus e, di conseguenza, ci toccherà vaccinarci anche nei prossimi anni.
E’ vero che siamo diventati tutti più europeisti da quando abbiamo il presidente Draghi e, soprattutto, da quando a Bruxelles hanno capito che con la pandemia in atto bisognava cambiare marcia, sotterrare l’ascia da guerra dell’austerity e sostituirla con la ricetta solidale del Recovery Plan; ma è anche vero che la prudenza ( gli antichi Greci la chiamavano metis, e il suo campione assoluto era Ulisse) è una sana virtù.
E allora vediamo di metterci quanto prima al riparo dagli errori che sono stati fatti dai negoziatori della UE nella trattativa con le multinazionali del farmaco, e che ci hanno impedito di bloccare sul nascere la temuta terza ondata. Insomma: europeisti sì, ma fessi no.
Luciano
Ma al massimo possiamo infiascare i vaccini che altri hanno scoperto. Poi impegnare 80 per un vaccino italiano che forse arriverà in autunno è stato buttar via risorse.