Una delle scelte più azzeccate di Mario Draghi è stata certamente quella per il ruolo di Guardasigilli affidato a Marta Cartabia, presidente emerita della Corte Costituzionale e giurista notoriamente molto sensibile verso le garanzie e i diritti delle persone.
Il suo predecessore Bonafede era invece un avvocato che, forse unico nella sua categoria professionale, seguiva il noto insegnamento giacobino, diventato poi uno dei comandamenti del giustizialismo italiano a partire dai pm di Mani Pulite fino ai più recenti Fatto Quotidiano e populismo grillino, secondo cui “non esistono innocenti ma solo colpevoli non ancora scoperti”.
Grazie a questa inquietante filosofia antropologica, nel 1793, nella Francia rivoluzionaria, venne promulgata da Robespierre e compagnia bella la famigerata legge sui sospetti, secondo la quale non c’era mica bisogno di dimostrare con le prove provate la colpevolezza degli imputati; ma bastava la dichiarazione di un vicino di casa o di una moglie tradita per fare entrare chiunque da imputato nell’aula di un tribunale speciale e poi farlo finire direttamente nelle mani del boia, perché riconosciuto come pericoloso nemico della Patria.
In Italia, per la fortuna di noi comuni cittadini, la forca è stata abolita già da un pezzo; ma la possibilità di restare incastrato e strozzato nelle maglie della Giustizia, quella esiste ancora.
Non mi stancherò mai di ricordare a tal proposito la tragedia del povero Enzo Tortora, finito ammanettato, sputtanato, incarcerato e infine ammazzato dal male che un Pm gli aveva causato quando aveva voluto credere alle dichiarazioni (mai confermate) di un ex camorrista mentalmente instabile. Ma l’elenco delle vittime della in-Giustizia italiana è purtroppo lunghissimo, e continua ancora ad allungarsi.
Proprio per stabilire dei paletti e quindi limitare il potere ed evitare gli abusi da parte dei magistrati all’interno del procedimento, esiste nella nostra Costituzione l’art 111, che definisce le caratteristiche del “giusto processo”; e che, al comma 2, indica per questo il principio della ragionevole durata del processo.
La riforma della prescrizione, che prevede il blocco senza termine della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, entrata in vigore nel gennaio 2020, voluta dall’ ex ministro Bonafede e caldeggiata dal Fatto travagliano nonché da tutti i manettari delle tante procure nazionali, va dunque contro il dettato costituzionale del giusto processo.
Visti i tempi pachidermici della nostra Giustizia, ora che è stata abolita la prescrizione, a maggior ragione le Corti d’Appello non hanno più nessuno stimolo a portare a conclusione i processi in tempi ragionevoli; col risultato che gli imputati rischiano di restare tali per anni e anni, vivendo con la spada di Damocle di una sentenza che arriverà chissà quando e, quindi, in una condizione di continua angoscia.
Ma adesso l’on Bonafede è tornato a sedersi su un semplice scranno parlamentare e potrà dedicarsi con maggiore impegno al suo passatempo preferito (la disco musica), visto che non ha più incarichi di governo da quando Mario Draghi l’ha opportunamente licenziato. E il ministero della Giustizia è diretto da Marta Cartabia, che vanta un magnifico curriculum e non proviene dal mondo del populismo giustizialista come il suo predecessore.
E’ quindi a lei che vanno le speranze e l’incoraggiamento di tutti i garantisti di questo Paese, affinché coraggiosamente voglia, ripristinando la prescrizione dei reati, restituire agli italiani il principio costituzionale del giusto processo.
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