Mentre il Paese annaspa tra una pandemia sanitaria, una crisi economica e una frattura politica (per non farci mancare nulla), due moniti severi, (ma tempestivi) da parte delle società di rating Moody’s e Fitch sulla stabilità del Paese sono passati del tutto inosservati dai nostri governanti, “in altre faccende di poltrone affaccendati”.
Il problema è che la nostra fragilità politica, soprattutto ora, rischia di compromettere la generosa dotazione di risorse (alcune a fondo perduto) che l’Europa ci ha offerto. Alle agenzie di rating poco importa chi salirà a bordo del nuovo esecutivo, ma solo che qualcuno “salga a bordo, caspita!” (semi cit. e parafrasando un monito di “responsabilità”).
Moody’s soprattutto nella sua ultima nota ci ricorda che Il nuovo esecutivo dovrà “gestire l’attuale fase della pandemia, e garantire un utilizzo tempestivo ed efficace dei fondi (Recovery Fund) dell’UE, fondamentali per migliorare il basso potenziale di crescita dell’Italia». E ancora rincara: «l’Italia riceverà più di 200 miliardi di euro, (il 12% del PIl atteso nel 2021), in sovvenzioni e prestiti dal piano Next Generation EU entro il 2026 e sarà il principale destinatario di detti fondi all’interno dell’UE. Questi fondi equivalgono a più di cinque anni di spesa pubblica e nelle intenzioni dovrebbero promuovere la crescita economica dell’Italia, se spesi in modo produttivo, […] e se il governo italiano saprà ridurre le tempistiche e le procedure di assegnazione degli appalti della pubblica amministrazione». Semplificando: se e solo se sapremo fare la riforma della pubblica amministrazione e le altre riforme che l’Europa e la maggior parte dei cittadini esausti chiedono da tempo, vedremo “cammello”.
E questo è un problema non da poco, visto che nella nota, l’agenzia di rating ci ricorda che nell’ultimo quinquennio, l’Italia ha sfruttato solo il 39% delle risorse a lei assegnate dall’Europa (di cui spesi solo il 30,7%). Forse, a conti fatti, qualche problema di credibilità è anche legittimo averlo.
Cosa rischiamo se decidessimo di andare dritti per la nostra rotta, incuranti dei moniti della “capitaneria di porto europea”? Potremmo trovare la via del mare aperto e navigare senza dover sentire di continuo le sirene fastidiose di chi vorrebbe accoglierci in un porto già affollato, è vero… Ma di certo, chi è uscito da questo porto recentemente non se la sta passando benissimo (Mr. Johnson, is it true?) e comunque dovremmo affrontare i marosi spaventosi di un declassamento del rating (siamo sempre a un passo dall’essere considerati Junk, spazzatura) con tutto quello che ne consegue in termini di tenuta dello spread e con un debito pubblico, mai così alto.
Possibile che ci siamo già dimenticati di quanto successo nel 2011? Ad oggi sembrerebbe di sì. O forse stiamo solo assistendo a questa stucchevole pantomima solo perché è interesse politico che venga individuato, nel breve, un traghettatore nuovo. Ma ricadremmo nello stesso errore di sempre. L’Italia ha probabilmente bisogno di un capitano di nave, non di un traghettatore. Non si definiscono nuove rotte, preoccupandosi di volta in volta di evitare solo secche e scogli, ma si pianificano con attenzione e con l’equipaggiamento migliore, soprattutto per chi si fregia di esser popolo di navigatori…
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