“Madonna che silenzio c’è…in Toscana”. Spero che gli ammiratori di Francesco Nuti non me ne vogliano, se prendo a prestito il titolo del suo film del 1982, adattandolo al giudizio sul confronto politico nella nostra regione, in relazione alla crisi di governo ma non solo. Se facciamo a mano di riferirci alle comparsate tv su questo o quell’affannoso talk show di questo o quel personaggio politico locale, possiamo affermare senza tema di smentite che il silenzio delle idee, delle proposte e delle analisi originali è senz’altro assordante. Paradossalmente il protagonista della crisi politica in atto è un toscano, ma sempre il solito da alcuni anni a questa parte: Matteo Renzi. Ognuno può giudicare come vuole quello che fa l’ex sindaco di Firenze e non è questo il senso di queste righe. C’è un fatto, però, che possiamo osservare con oggettiva sicurezza: il Renzi di oggi non pare aver lasciato alcuna radice consistente nella città e nella regione in cui ha costruito la sua iniziale fortuna. Una qualche radice che si ritrovi nella classe politica o nei partiti che sono stati il suo terreno di cultura, prima il PD e ora quell’Italia Viva, scissione minoritaria utile alle manovre di palazzo romane e tanto basta. C’è forse qualcuno degli esponenti attuali nelle istituzioni toscane che appaia portatore di una visione politica autonoma, tale da contribuire in maniera significativa alla discussione pubblica nel Paese? Prendiamo i due più significativi, per tacer degli altri. Eugenio Giani tutt’al più sembra svolgere con ammirevole dedizione il compito che si era dato fin dalla sua discesa in campo per conquistare le stanze del Palazzo Strozzi Sacrati: essere il sindaco regionale dei sindaci municipali. E dal sindaco di Firenze Dario Nardella ci si poteva aspettare – dopo l’affermazione elettorale per il suo secondo mandato – una crescita di ruolo politico sul piano nazionale, una crescita che derivasse non solo dalla carica rivestita, ma dalla capacità di affrancarsi pienamente dall’eredità renziana, in modo da rappresentare un riferimento intellettuale e politico in modo nuovo e autonomo. Non è ancora dato avvertire un fatto del genere, e non ci può confortare l’innegabile astuzia di un rentier politico come Riccardo Nencini che si porta appresso un’eredità storica come quella del PSI, con percentuali di voto impercettibili, quanto sufficienti ad un perenne galleggiamento personale.
Qualche esempio che dimostra una cosa: se vogliamo parlare di politica in Toscana (come altrove) non riusciamo ad andare oltre le persone perché dietro di loro non c’è più quella rete di sostegno culturale che una volta erano i partiti e non solo. Vale per le forze di maggioranza come per quelle di opposizione, forze di cui non sentiamo la voce se non per una gestione semplicemente e quotidianamente amministrativa. Pensando ad altre stagioni della politica in Italia e del protagonismo della Toscana, non potrà sfuggire quanto fondamentale fosse la ricchezza di contributi che veniva da una discussione pubblica le cui radici erano nei partiti, nel mondo intellettuale, in quello produttivo, nella scuola e nell’Università. Ora ci si arrangia diversamente, ma si resta ai confini dell’ininfluenza. Ci si può sempre consolare, come succede all’ex governatore Enrico Rossi che nel viso dell’esploratore Roberto Fico vede i tratti di un giovane comunista e tanto gli basta.
(questo articolo è stato pubblicato sul Corriere Fiorentino di Domenica 31 gennaio. Viene ripreso con il consenso dell’autore)
sandra bianchini
Renzi, che come Sindaco di Firenze poteva consentire alla citta’ di uscire dal provincialismo dorato della rendita parassitaria e diventare davvero il capoluogo internazionale della cultura, del turismo e delle infrastrutture innovative ha lasciato ruoli apicali senza occuparsi nella selezione, delle capacita’ intellettuali e dirigenziali degli stessi. La visione autonoma la si ottiene con un percorso personale e soprattutto professionale anche fuori dalla politica. se Renzi era un enfant prodige, a cui forse il talento bastava, per governare e sviluppare i territori occorre nutrirsi delle competenze acquisite anche in altri contesti. E oltre all’ambizione personale e al protagonismo di ruolo, non si vede altro all’orizzonte.