Cosa penso della crisi e di Conte l’ho espresso prima dell’esito (comunque interlocutorio) della kermesse di Palazzo Madama https://www.soloriformisti.it/il-fascino-discreto-delluomo-di-gomma/.
Propongo ora una mia lettura sul ruolo giocato da uno dei protagonisti di tutta la vicenda, il PD, lettura che resta tale indipendentemente dall’esito finale della crisi, oggi tuttora incertissimo. Proverei a ricapitolare il comportamento del PD prima, durante e dopo la crisi.
Prima. Durante i mesi di navigazione di questo Governo ha scelto (immagino scientemente) un basso profilo. Nascosto dietro l’alibi dell’emergenza Covid, silenzioso circa la gestione personalistica del premier, ha avallato una politica concentrata sull’immediato e contribuito all’andazzo di rimandare sine die i problemi (inutile elencare i molti temi in sospeso). Ha dimostrato nei fatti una sostanziale subalternità rispetto al maggior partner di Governo (nonostante l’estrema debolezza di questo) e un allineamento (non so dire se più compiaciuto o rassegnato) alla visione statalista-assistenzialista di coloro che hanno abolito per legge la povertà, del resto corroborata dalla dichiarata intenzione di rendere strutturale anche in ottica elettorale l’alleanza con i grillini. Scelta legittima, ovviamente, che segna altresì una cifra politica che di riformista non ha nulla. Detto en passant, l’unico oggettivo successo di questo Governo, la riconversione europeista e l’ottenimento della (potenziale) valanga di miliardi per il Recovery Plan, è stato completamente intestato al premier. Anche rispetto a questo punto qualificante il PD è rimasto in penombra.
Durante. Di fronte all’operazione politica di Italia Viva (sì, perché è stata un’operazione politicaanche se la si è voluta far passare per l’isteria di un egotista), chiaramente finalizzata almeno a sostituire Conte, l’ordine di scuderia è stato ispirarsi a un altro.. Conte (zio): sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire.. Per la verità sembrava che volesse far fare all’ex alleato il gioco sporco per accodarsi ma evidentemente non era così: al momento del redde rationem, quando era il momento di cogliere il frutto dell’operazione (che avrebbe peraltro portato a un premier PD), ha scelto ancora di (fingere di) non vedere le ragioni delle questioni politiche sul tavolo, gettando la responsabilità tutta su Renzi, dando una lettura esclusivamente psicanalitica del suo operato. Da cui arroccamento sul premier e “caccia ai responsabili”, inevitabilmente antiestetica (ma siamo uomini di mondo.. nessuno scandalo).
Dopo. Si poteva a questo punto ritenere che fosse una strategia cinica ma efficace. Liberatosi del molesto Renzi, Conte in discussione, i grillini che voterebbero chiunque pur di non andare a casa era l’occasione per prendere l’iniziativa politica, per imporre un cambio di passo, almeno un Conte ter, o meglio un esecutivo allargato in grado almeno di redigere un decente Recovery Plan, insomma prendere in mano le redini. Nulla di tutto questo. Il plenipotenziario Goffredo Bettini (pare che sia lui ora il Richelieu del Nazareno, di Zingaretti solo echi lontani..) detta la linea: non sono disposti a sostenere esecutivi tecnici, di scopo o di unità nazionale e tantomeno un governo politico con Renzi e senza Conte. O Giuseppe Conte o le elezioni anticipate.
Dunque va riconosciuta al PD una grande coerenza di comportamenti: prima, durante e dopo la barra del timore è sempre stata dritta. Verso una politica che si riassume in 1) perseguimento di un’alleanza organica con i 5stelle; 2) indirizzo assistenzialista e statalista; 3) rinuncia a qualunque afflato riformista; 4) o Conte o nessuno.
Questi sopra sono i fatti. Il registro della narrazione dei quali, mi rendo conto, sarebbe diverso da parte di un sostenitore del PD che si ritrova nei 4 punti sopra elencati (il che è del tutto legittimo, s’intende). Ma solo il registro, appunto, credo che anche questi si troverebbe d’accordo che questa è la sostanza di ciò che è avvenuto.
A questo punto chiedo scusa se viro sul mio personale sentire, ma è lo spunto per considerazioni generali. Mi si potrebbe obiettare: ma il parlamento pullula di partiti che peggio non si può. Uno più uno meno.. perché ce l’hai proprio col PD? Risposta: perché faccio parte di una categoria di individui – chiamiamoli liberal per brevità – intimamente moderati, insieme riformisti e conservatori, laici, che credono in redistribuzione sociale ma anche riconoscimento del merito, sviluppo e ambientalismo senza fanatismi, diritti individuali sì ma senza eccessi, etica del lavoro e dei comportamenti e che auspicano un approccio razionale e non ideologico alle cose di questo mondo. Una parte di Paese che chiede disperatamente un cambio di passo: sui tempi della giustizia, sulla buona amministrazione, sulla competenza, sull’efficientamento, sulla certezza della legge (poche norme draconianamente applicate e non una babele interpretabile o inapplicabile), sul supporto al sistema Paese (e sulla sua credibilità all’estero), sulla presenza intelligente dello Stato come regolatore saggio e imparziale. Una parte di Paese che forse non è maggioranza ma è certamente una consistente minoranza.
Ebbene, questa parte di Paese oggi ha una ricca rappresentanza di partitini riformisti e di centro (Azione, + Europa, Italia Viva) ma appunto partitini. Tra i grandi partiti, improponibile la Lega (perlomeno la Lega di Salvini), la Meloni per carità, i cinquestelle stendiamo un velo pietoso. L’unico a cui aggrappare la speranza di aggregare un polo riformista, senza ripartire da zero o quasi, per costruire qualcosa che almeno assomigli all’idea di Paese che appunto un liberal ha in mente, l’unico (dei grandi) potenzialmente potabile era stato il PD. Non per merito (proprio no..), non per fedeltà (a cosa, poi?) meno che meno per ideologia ma, banalmente, per esclusione.
La dirigenza del PD ha scelto, scientemente, di non raccogliere questa sfida. Da qui la mia frustrazione, ecco perché mi sento in qualche modo tradito.
Aggiungo che il PD sul territorio ha ancora amministratori, sostenitori e simpatizzanti pieni di buona volontà – ivi compresi i rappresentanti veneziani a Roma – con una capacità di elaborazione e una tensione emotiva che ancora sono un elemento distintivo nella desolante pochezza che abbiamo visto, per esempio, negli interventi alle Camere da parte di alcuni parlamentari.
Ebbene, a questa “ricchezza” del territorio non corrisponde a mio parere oggi uno standing adeguato della classe dirigente a Roma. Una classe dirigente che sembra capace solo di proporre enunciazioni dal tenore Asino chi legge tipo “rimbocchiamoci le mani per il bene del Paese”, “un Governo che abbia autorevolezza”, “costruire una solida prospettiva politica” e così via. Frasi che sembrano prodotte da un software che genera randomicamente frasi di senso compiuto, vuote ma rassicuranti.
Mi auguro fortemente che alle prossime elezioni queste persone di buona volontà sappiano rivolgersi al consolidamento e alla crescita di un vero partito riformista (auspicando assolutamente la confederazione almeno dei tre esistenti).
Il PD, ormai lo attestano i fatti, non è, né vuole essere, quel partito.
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