“Se qualcuno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?”
Potrebbe essere questo l’incipit, o la conclusione, del discorso che Giuseppe Conte terrà al Senato chiedendo la fiducia, laddove i numeri per lui si sono fatti ballerini dopo il venir meno della componente renziana. In realtà, come molti avranno intuito, quelle parole furono pronunciate durante il celebre discorso tenuto l’8 otttobre 1882 da Agostino De Pretis, che da quel momento diventò il padre fondatore del trasformismo.
Ma il De Pretis non era uno spregiudicato cercatore di voti in Parlamento, come oggi lo si vuole descrivere per macchiarne la memoria. Il suo problema era che nell’Italia di allora i partiti praticamente non esistevano e i deputati venivano eletti sulla base delle loro clientele, non di programmi politici coerenti e ideologicamente delineati. E così, i termini Destra e Sinistra erano usati in modo molto elastico, anche perché la classe politica proveniva tutta dallo stesso universo sociale e culturale, che era la borghesia liberale.
Quei signori erano, grosso modo, figli e allievi di Cavour, il quale già a suo tempo si era dovuto inventare la formula del Connubio proprio per lo stesso motivo: creare una solida maggioranza al centro per governare.
Tutto questo per dire che noi italiani siamo nati (politicamente) trasformisti. Il trasformismo ce l’abbiamo nel Dna. E c’è dunque un fil rouge che lega la nostra storia, a partire dall’Italia post-unitaria di Cavour e De Pretis, e continua lungo tutto il Novecento, con Giolitti prima e con i grandi leader democristiani poi.
E non solo loro. Infatti, basterebbe prendere in esame la storia del Partito comunista italiano, di cui fra pochi giorni si celebrerà il centenario dalla fondazione (Livorno, 21 gennaio 1921). Qualcuno potrebbe obiettare che il Pci non esiste più, ma in verità, dopo la caduta del Muro, si è semplicemente “trasformato”. Cosa sono stati i leader del Pci da Occhetto in poi se non mutazioni genetiche della matrice gramsciana-togliattiana? E come lo si può descrivere l’attuale Pd se non come un incrocio ottenuto in laboratorio tra due specie, quella democristiana e quella comunista?
Altra mutazione attualmente in corso sotto gli occhi di tutti è quella del Movimento Cinquestelle che, dopo essere stato movimento anti-sistema, populista e vaffaista, ora si è pienamente integrato nel trasformismo tendente al centro; e quindi ha trovato nel migliore trasformista dei nostri giorni, Giuseppe Conte, la sua figura ideale di riferimento.
Ma era chiaro sin dall’inizio che il primo governo Conte non sarebbe durato a lungo; perché si fondava sull’accostamento di un partito nato secondo una logica antistatalista e antigiustizialista, la Lega, con i Cinquestelle che sono nati e resteranno pur sempre totalmente statalisti e giustizialisti.
Il secondo governo Conte, venuto alla luce sotto la stella polare dell’incessante cambiamento, si è poi condannato all’immobilismo, che è l’altra faccia del trasformismo; infatti, come il principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa ci ha spiegato più di mezzo secolo fa nel Gattopardo, “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.
Matteo Renzi ha denunciato l’immobilismo del Conte bis. Ha detto ad alta voce quello che gli italiani pensano e vedono chiaramente almeno dalla scorsa estate: che le sorti dell’Italia e della sua eventuale Recovery sono attualmente affidate a un governo nato per caso nel momento peggiore dalla seconda guerra mondiale in poi.
Praticamente Renzi ha gridato che il Re è nudo, e quasi tutti gli sono saltati addosso accusandolo di voler affondare la nave. Ma la verità è che la nave stava già imbarcando acqua da un pezzo, anche se Capitan Giuseppi fingeva di non saperlo; mentre la sua orchestrina, diretta dai maestri Casalino e Travaglio, continuava a suonare il valzer…
Se dovesse nascere il Conte ter, raccogliendo i voti dei disperati (costruttori o voltagabbana a seconda del punto di vista), che temono di perdere un remunerativo posto di lavoro in caso di elezioni anticipate, il trasformismo – e l’immobilismo che ne consegue – realizzerebbe il suo capolavoro.
Giuseppe Conte, l’avvocato nato democristiano e poi divenuto capo del popolo giallo-rosso, andrebbe sicuramente ad accendere un cero bello grosso a padre Pio. E a stappare una bottiglia di quello buono col suo mentore: Beppe il Clown.
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