Era scontato: come il dibattito sul MES sarebbe entrato nel vivo, o peggio, l’Italia avrebbe dovuto dare una risposta definitiva all’Europa, qualche nostro politico se ne sarebbe venuto fuori con una “patrimoniale” come panacea di tutti i mali. Questa volta sono già 3 i partiti che, a titolo diverso, hanno promosso la balzana iniziativa. Come già ampiamente illustrato in un N&M del 12 ottobre, il problema vero di questo Paese è l’evasione fiscale e non aumentare la pressione fiscale, poiché il nostro ordinamento è già “ricco” di prelievi, sia sul patrimonio mobiliare che su quello immobiliare, sia di bolli sugli investimenti finanziari che di tasse sul mattone, che rappresenta ancora il vero bene di rifugio per eccellenza.
Senza entrare nel merito delle proposte, che in entrambi i casi, a detta dei proponenti, si applicherebbero ai “super ricchi”, senza neppure specificare bene i criteri oggettivi per poterli immediatamente individuare, il teorico vantaggio che si avrebbe (a detta sempre di 2 dei 3 portavoce della iniziativa) sarebbe di circa 18 miliardi di euro, da ridistribuire a beneficio della popolazione. Fa (sor)ridere che gli stessi proponenti appartengano proprio a quei partiti che rinunciando al MES, rinunciano ad un vantaggio certo e immediato di 35-36 miliardi di euro. Ma così rischio di entrare in diatribe politiche, che personalmente non mi entusiasmano. Chiunque avesse sfogliato qualche pagina di economia politica ai tempi dell’università, saprebbe tuttavia che aumentare la pressione fiscale in un momento di diffusa crisi economica è un grosso azzardo (per non essere scurrile), inoltre il rischio di “punire” i maggiori contribuenti e favorire invece i maggiori evasori (che sarebbero incentivati a continuare nella loro azione) sarebbe un clamoroso autogoal in termini di equità fiscale, che anche i peggiori governi della nostra storia repubblicana si sono sempre vantati di perseguire. Se è vero infatti che oggi il governo si può far forte che non esista più il segreto bancario come nel passato, (per contrastare eventuali fughe di capitali tassabili), è anche vero che un intervento sul patrimonio (sia mobiliare o immobiliare) farebbe del tutto cadere il rapporto già vacillante di rappresentatività verso questa classe politica.
Lo abbiamo già visto nel passato, sia con il prelievo forzoso del 1992, sia con la introduzione dell’IMU nel 2011 il rapporto cittadini-Stato è stato messo a dura prova, dando origine alla nascita di movimenti populisti che non hanno di certo risolto la situazione.
Chiuderemo con un calo del PIL di circa il 12% sul 2019, gli investimenti in immobili commerciali nel 1° semestre sono già crollati del 25% con stime in peggioramento, anche l’immobiliare residenziale è in contrazione, mentre cresce in maniera importante la propensione a mantenere i propri risparmi in liquidità (+8% sul 2019), per il sentimento di grande incertezza che impedisce di sostenere l’economia del Paese.
Bisognerebbe allora essere proprio degli sprovveduti per pensare che una eventuale applicazione di una patrimoniale possa risolvere i problemi causati dalla cattiva politica. Anche perché se applicata su livelli reddituali, (come ad oggi proposto) in Italia, la attuale fascia di reddito più alta, censita dalla agenzia delle entrate, è quella di chi guadagna più di 300.000 euro, ovvero lo 0,1% della popolazione. Lo 0,1% dovrebbe “salvare” teoricamente 60 milioni di persone.
Temo che il problema allora non sia più solo saper sfogliare dei libri, ma anche saper fare un minimo di conto: confidiamo che la nuova didattica a distanza possa aiutare in tal senso a migliorare la futura classe politica. Anche perché fare peggio è davvero difficile.
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