Firenze è ormai dai anni il motore economico della Toscana. Per questo l’andamento della sua industria, del turismo, del commercio e dei servizi ha un rilievo eccezionale per l’intera regione. A Lei, tra i più profondi lettori di questa realtà chiediamo: a che punto è la notte?
I dati IRPET riportati dal Corriere Fiorentino di giovedì, che vedono una caduta di occupazione a causa del Covid-19 nel centro storico di Firenze (area Unesco) più di tre volte la caduta nel resto di Firenze, fotografano la struttura economica, territoriale e settoriale, multiforme della nostra città: turismo e attività commerciali collaterali in centro e industria e commercio all’ingrosso in periferia. Ciò potrebbe fare pensare che fossero due aree settoriali (turismo/industria) e territoriali (centro/periferia) economicamente distaccate, tanto da suggerire politiche strutturali non interconnesse, improntate in particolare a riconvertire l’economia del centro limitando direttamente l’ingerenza del turismo. In realtà ciò non otterrebbe, nel lungo periodo, i risultati attesi, in quanto solo se si rafforza la struttura industriale di Firenze si possono ridimensionare, in modo duraturo, i costi sociali associati al turismo aggressivo e di bassa qualità.
L’industria: per un non breve periodo è stata considerata ormai un reperto del passato, buono per l’archeologia industriale…sopravvive ancora a Firenze?
La struttura industriale è in parte obsoleta, sebbene Firenze, rispetto al dato nazionale, abbia ancora una “vocazione” industriale molto rilevante. Prima del Covid-19 il numero degli addetti che, nell’area fiorentina, lavoravano nel manifatturiero rappresentava circa il 26% del totale. A livello nazionale non si raggiungeva il 17-18%. Con i dati IRPET si deduce che questa percentuale sia ora aumentata fino ad un livello alto anche nei confronti di altre metropoli europee. Tuttavia, nel 2001 era il 40%, inoltre, attualmente, la capacità industriale nell’area fiorentina è concentrata solo su tre settori: moda (le grandi griffe), farmaceutica (la Menarini), meccanica (il Nuovo Pignone); mentre nel 2001 più del 58% delle attività industriale era diffusa su altri settori: artigianato, meccanica di precisione, piccole imprese terziste, e altro. Il settore industriale era quindi molto più attivo, ampio e diversificato e quindi meno soggetto a shock macroeconomici. Bisogna quindi coltivare, sostenere e incentivare questa vocazione per allargare la base occupazionale nell’industria.
Quali strategia sono le più efficaci per realizzare questo obiettivo?
Quanto più cresce il manifatturiero – naturalmente quello ad alta tecnologia, digitalizzata, con elevata con produttività derivante dalla conoscenza e dalla formazione dei propri addetti – più cresce l’occupazione stabile e meno si espande il settore dei servizi di natura secondaria, i servizi che emergono per sostituire l’industria e non essere a questa complementari. In altre parole, se vogliamo che lo sviluppo del terziario fiorentino vada verso un’espansione di servizi all’economia, all’impresa – e quindi servizi finanziari, di consulenza, di tecnologia, di urbanistica – è chiaro che questi possono crescere solo se cresce contemporaneamente la destinazione industriale di un’area. E, corrispondentemente, si riduce il terziario che va agli affitti airbnb, alle case vacanze, alle pizzerie, alle paninoteche, di supporto di un turismo di passaggio.
Cosa intende? Che il turismo è l’uomo nero da evitare a tutti i costi?
Attenzione: anche il turismo non è solo decadenza economica: anche all’interno del turismo la tecnologia può avere una rilevanza fondamentale e, quindi, l’industria turistica può apportare una modernità che va coltivata come nella manifattura.
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