Ben prima dello scoppio della pandemia da COVID19, la diffusa adozione delle tecnologie digitali aveva avuto un profondo impatto su tanta parte degli aspetti della società. Fenomeni come l’organizzazione dei flussi di lavoro, la fornitura di servizi pubblici chiave e l’emergere di nuove categorie di posti di lavoro sono venuti al centro dell’azione politica e sociale negli ultimi decenni. Un esempio notevole può essere trovato nel dibattito che si è sviluppato sulla scia del lavoro fondamentale di Frey e Osborne (2013) sugli effetti dell’informatizzazione sui mercati del lavoro: secondo gli autori, circa il 47% dei posti di lavoro negli Stati Uniti era a rischio di scomparire.
Tuttavia, mentre nell’era pre-COVID-19 i policymakers avevano l’opportunità di rimodellare adeguatamente la configurazione della società secondo la rivoluzione digitale, dopo l’inizio del COVID-19 queste opportunità non esistono più. Gli effetti dirompenti della pandemia non sono ancora del tutto chiari, ma è indubbio che questa crisi abbia comportato un’accelerazione della trasformazione digitale, soprattutto per quanto riguarda il lavoro a distanza per molti settori della società. Tuttavia, ciò che sembra chiaro è che, mentre per alcune attività e lavori può esserci un lento ritorno alla “vecchia normalità”, molti altri settori della nostra società dovranno trovarne una nuova. Ma come spesso accade quando la tecnologia ha un impatto sulla società, in primo luogo non sappiamo quando ciò accadrà, in secondo luogo non sappiamo quale costo avrà e, forse l’aspetto più importante, non possiamo dire quali relazioni sociali, politiche ed economiche si stabiliranno tra gli individui come conseguenza di questo grande processo di ricalibrazione.
La nostra opinione è che i progressisti debbano fornire un prezioso contributo per attenuare l’impatto di queste trasformazioni. I progressisti dovrebbero misurarsi con la sfida della riprogettazione di una società concentrandosi sulle situazioni in cui le persone e le organizzazioni si troveranno in difficoltà per l’impatto dell’automazione. Le forze politiche che mirano a combattere le disuguaglianze e ripristinare la giustizia sociale non devono commettere gli stessi errori di 20 anni fa rispetto alla globalizzazione. Allora, l’idea diffusa di molte forze progressiste era quella di consentire alla globalizzazione di rimodellare da sola le nuove configurazioni del nostro mondo. La convinzione condivisa da molti progressisti era che il ruolo dei governi fosse quello di ridurre le disuguaglianze e gli squilibri distributivi che sarebbero potuti emergere alla fine del processo di globalizzazione (Salvati 2001). Secondo questa visione, i mercati e la tecnologia avrebbero curato lo sviluppo del business, mentre i governi, attraverso specifiche politiche di welfare, si sarebbero presi cura delle persone rimaste indietro. Non giudichiamo del tutto negativa questa visione, anche se a nostro avviso molti problemi dei progressisti in questo momento derivino dall’incapacità di allontanarsi da questo approccio.
Tuttavia, pensiamo debba esser chiaro che lo stesso approccio alla situazione post-COVID-19 non potrà funzionare, perché le dimensioni della crisi sono semplicemente più grandi e i primi passi intrapresi per affrontarla hanno mostrato un rinnovato impegno degli attori statuali a svolgere un ruolo più diretto e mirato nell’affrontare i problemi sociali ed economici. L’automazione nella sua consistente dimensione quale esce dalla crisi del COVID-19 non può essere la variabile indipendente dei nostri tempi, come lo era la globalizzazione basata su Internet trent’anni fa. In una certa misura, l’alba del mondo post-COVID-19 ricorda ancora il famoso trilemma politico dell’economia globale descritto da Dani Rodrik nel 2010. L’argomento principale di Rodrik era che solo due attributi tra iper-globalizzazione, politica democratica e sovranità nazionale possono coesistere. La differenza rilevante è che la digitalizzazione – ed i suoi effetti distributivi sia a livello nazionale che interno – ha sostituito l’opzione di iper-globalizzazione che nessuno sostiene più apertamente.
Quindi, dato che ci stiamo dirigendo verso un mondo ancora più automatizzato e digitalizzato, sosteniamo che i progressisti debbano assumere un nuovo approccio alla trasformazione digitale. Per essere chiari, non proponiamo di distruggere macchine e restiamo ottimisti sul fatto che, se gestita correttamente, la digitalizzazione potrebbe essere un potente alleato per risolvere molti dei problemi che si presenteranno nei prossimi anni, come la necessità di fornire servizi pubblici a distanza (sanità, istruzione, burocrazia). Tuttavia, la crisi del COVID-19 ha già presentato il conto su questo versante ed i progressisti non dovrebbero commettere gli stessi errori che sono stati commessi in precedenza abbracciando, spesso acriticamente, l’iper-globalizzazione. La digitalizzazione radicale ha molti inconvenienti che devono essere affrontati e il COVID-19 ha mostrato quanto sia urgente agire.
Se guardiamo alla quota di posti di lavoro suscettibile di essere prestata a distanza sul totale della forza lavoro dell’UE, vediamo che solo il 6% all’incirca dei lavoratori scarsamente qualificati può lavorare da casa, rispetto al 61% dei lavoratori altamente qualificati. Solo il 15% degli under 30 può dedicarsi al telelavoro e solo l’11% dei lavoratori autonomi. Questi dati possono fornire una indicazione di quali categorie potrebbero risultare maggiormente colpite dai cambiamenti in corso conseguenti al balzo in avanti della digitalizzazione (vedi: JRC, 2020). Parallelamente, il settore dell’istruzione ha dovuto passare rapidamente all’apprendimento a distanza e misto, attraverso lezioni e attività online che hanno affiancato la didattica in presenza. . Le prime ricerche sul modo in cui è stato realizzato l’insegnamento a distanza mostrano risultati straordinari. In Italia, le ONG hanno evidenziato che solo la metà degli studenti della scuola primaria a Milano ha potuto accedere alle lezioni online (Caritas Ambrosiana, 2020) e più del 60% degli studenti della scuola primaria a Roma non ha intrapreso attività di istruzione formale durante il blocco (Comunità di S. Egidio, 2020). Ulteriori ricerche pubblicate dall’UCL hanno evidenziato che due milioni di bambini nel Regno Unito (circa il 20% del totale) non avevano svolto compiti scolastici da quando erano state introdotte le misure di blocco (New Statesman, 2020). Inoltre, a livello globale, l’UNESCO ha stimato che le ragazze e le donne pagheranno il prezzo più alto per non essere in grado di accedere all’istruzione durante il blocco per il COVID-19
Naturalmente, questi sono solo esempi empirici ed è troppo presto per identificare chiaramente i meccanismi causali. Tuttavia, quest’insieme di sfide – e i fondi che saranno stanziati per la ripresa economica – obbligano i progressisti a pensare a queste crude realtà.
Queste trasformazioni implicano due principali problemi potenziali. In primo luogo, come gestire con successo la digitalizzazione e, in secondo luogo, quali saranno le conseguenze sociali a lungo termine. Inoltre, questi problemi si collocano a due livelli diversi. Il primo riguarda le differenze tra paesi. Nell’UE, l’alfabetizzazione digitale è molto differenziata tra i paesi. L’Indice dell’Economia e della Società Digitale della Commissione europea (DESI, 2020) vede i paesi del nord in testa alla classifica, con Finlandia, Svezia e Danimarca ai primi posti, mentre i paesi più grandi sono solo a metà classifica (la Spagna è all’11 ° posto, la Germania al 12 ° e la Francia 15 °) o si trovano in fondo alla classifica (con l’Italia al 25 ° posto). La seconda questione riguarda le differenziazioni all’interno di un paese : la digitalizzazione rischia di accentuare il divario tra le aree che sono connesse e possibilmente pronte per la cosiddetta “ società dei gigabit ” e altre aree in cui la connettività è inferiore e dove non ci sono abbastanza imprese digitalizzate da costituire massa critica per l’innovazione (Rodney 2020). Oltre ai problemi infrastrutturali che le nostre società devono affrontare, le forze progressiste dovrebbero considerare attentamente quale tipo di articolazione sociale avrà luogo nelle democrazie occidentali.
Attualmente, a molte forze progressiste riesce estremamente difficile esercitare una significativa influenza sul discorso pubblico e connettersi con interi settori della popolazione, poiché gli elettori progressisti continuano a concentrarsi nelle aree urbane e digitalmente avanzate. Temiamo che, con l’inizio del COVID-19 e l’aumento dei tassi di telelavoro, diventerà ancora più difficile per i progressisti parlare a segmenti di popolazione iper-atomizzati, almeno utilizzando i modi e i mezzi di comunicazione tradizionali. La lezione politica che i progressisti dovrebbero essere pronti ad imparare è che devono governare questo spostamento digitale che è in corso nei luoghi di lavoro e nelle scuole. Altrimenti, una società completamente disaggregata, senza luoghi fisici comuni per condividere ideali e valori, potrebbe fornire il terreno perfetto per messaggi, politiche e retorica populiste e nazionaliste.
Lascia un commento