Le regionali in Sardegna danno alcune indicazioni che solo chi non le voglia vedere potrà fare a meno di considerare.
La prima riguarda un mutamento d’opinione in atto fra gli elettori, modesto se si vuole, ma sicuramente rilevabile: comincia ad essere sentito il pericolo della difficile situazione verso cui procede l’Italia, e inizia ad essere compreso il rapporto fra questo e l’azione di governo (o meglio di non governo) della maggioranza gialloverde.
Il mutamento d’opinione si indirizza in maniera assolutamente rilevante verso uno dei protagonisti della fase successiva al risultato del 4 marzo, cioè il M5s e la sua improvvida e, per molti aspetti ridicola, classe dirigente.
Se l’andamento che si è manifestato con le elezioni in Abruzzo e in Sardegna verrà confermato di qui alle europee, non sarà improprio supporre che uno dei corni del populismo che ha conquistato il potere in Italia (unico caso in Europa) sia destinato a ridimensionarsi più rapidamente di quello che la stragrande maggioranza dei commentatori nostrani abbia previsto fino a ora.
C’è un altro aspetto interessante nel risultato in Sardegna: la Lega di Salvini ottiene la conquista del governo regionale, ma anche i più innamorati della svolta antipolitica e antisistema (non ne mancano certamente fra i maggiori organi di informazione) dovranno riconoscere che fra il suo 12 per cento e il 47 della coalizione ci passa un 35 per cento che appartiene ad altri e non all’erede, si fa per dire, di Umberto Bossi.
Appare chiaro che l’area di centrodestra, oppure di destra centro (sarebbe più logico definirla in questo modo, oggi) ritorna ad essere maggioritaria così come, del resto, è sempre stata anche nel passato.
Va considerato inoltre che una gran parte dei seguaci di Grillo appartiene di diritto a quella stessa area: infatti, rendendosi conto dell’inadeguatezza di Di Maio e sodali, torna a rivolgersi a chi meglio la può rappresentare.
Certo il cammino di un’alternativa allo stato attuale delle cose non è dietro l’angolo: Salvini non rinuncerà facilmente a quei buoni portatori d’acqua che finora si sono dimostrati i 5s, soprattutto sapendo che la leadership di un nuovo centrodestra dovrebbe fare i conti comunque con delle componenti moderate che la metterebbero ben altrimenti in discussione.
La realtà ritorna comunque a far sentire il suo peso e lo sfruttamento della paura che di sicuro è un dato veritiero fra la gente, inizia a far sentire il suo limite e a far esaurire la spinta propulsiva che ha finora premiato il truce difensore dei bagnasciuga nazionali.
Infine: l’Abruzzo e la Sardegna indicano la riapertura di uno spazio di combattimento anche per il centrosinistra e il Pd, anche se ancora lontano da obiettivi possibili di una rivincita effettiva.
Per capire, però, quale strada il Pd deciderà di percorrere (una nuova strategia in grado di ricostruire una cultura politica coerentemente riformista, oppure una tattica d’altri tempi per acchiappare un poco di grillini), bisognerà aspettare l’esito delle primarie del 3 marzo.
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