Fare politica vuol dire compiere delle scelte. Scelte fra le cose a cui assegnare la priorità rispetto alle altre.
Se vivessimo in un mondo dove le risorse sono infinite, forse la politica non servirebbe, basterebbero dei bravi amministratori. Non ci sarebbe bisogno di selezionare la destinazione delle risorse. La loro redistribuzione da parte dello Stato avrebbe poche rinunce da fare, pochi no da dire ad una o l’altra delle istanze mosse dalle varie parti sociali.
Non sarebbe necessario chiedersi se aumentare le imposte o tagliare la spesa, per ridurre il debito pubblico. Né si dovrebbe scegliere se dare incentivi alle imprese o sostenere i consumi delle famiglie. Dibattere se sia più importante tagliare il costo del lavoro o investire in ricerca e innovazione; finanziare meglio la conoscenza o mandare prima i lavoratori in pensione.
Il politico viene eletto per compiere queste scelte, in scienza e coscienza, si dice. Ovvero, dopo aver studiato le situazioni, problemi e possibili soluzioni, sceglie una linea, che necessariamente ne esclude altre.
Per fare questo ci vuole una visione chiara di dove si vuole portare un paese o una città, pro tempore rappresentata, e ci vuole l’audacia ed il coraggio di compiere delle scelte, spiegarle e difenderle di fronte alle difficoltà che si presenteranno.
Proprio in questi giorni sembra che la priorità del governo nazionale sia la scuola. Certamente è l’argomento della settimana. Da giorni non c’è notiziario, tradizionale o meno, che non abbia titoli sulla scuola in posizioni importanti e raccolga dichiarazioni di ministri, parlamentari e varie parti interessate. Purtroppo ciò non significa che la scuola, l’istruzione, la conoscenza siano questioni ad alta priorità nel nostro paese. Questo accade oggi, a due settimane dal programmato riavvio delle lezioni in presenza, solo perché oggi risulta a tutti evidente quanto la scuola sia importante. Quanto sia stato, anche in questo strano 2020, dato per scontato che la scuola, tanto, in qualche modo, avrebbe trovato da sola il modo di riaprire i suoi scalcinati edifici. Invece non è così semplice, perché da troppi anni la scuola non viene trattata come una cosa importante. Ma in questo autunno, se vogliamo, ci può essere una svolta.
Siamo in un tempo straordinario. In questo anno si sono verificati eventi impensabili che, nella loro drammaticità, hanno dato il coraggio ai leader europei di indicare un cammino comune e riprendere il processo di integrazione, fermo dagli anni Novanta, con un’accelerazione che ha avuto dell’incredibile.
In Italia arriveranno tanti soldi. Abbiamo l’irripetibile occasione di poter scegliere come usarli. A quali cose assegnare la priorità. Per farlo è necessario aver chiare le idee su quale paese vogliamo diventare, per poi decidere su quali investimenti puntare. Il piano Next Generation EU ci ha fornito un’indicazione chiara già nel titolo. Dobbiamo pensare alle prossime generazioni. Quelle che, nel nostro paese dovranno affrontare una sfida importante in più rispetto agli altri: dovranno far fronte all’enorme debito che gli lasceremo da colmare. Dobbiamo pensare ai nostri giovani, fornire loro (almeno) gli strumenti cognitivi per affrontare tutti i problemi che noi boomer gli stiamo lasciando.
Allora non ha senso usare risorse a pioggia, mandare prima le persone in pensione, ridurre le imposte o procedere per sussidi. Occorrono scelte coraggiose, non dettate da una cinica ricerca del consenso immediato. Stavolta occorre essere lungimiranti. E se vogliamo essere lungimiranti non possiamo che investire in istruzione, formazione, educazione. Istruire il lavoratore, formare la persona, educare il cittadino. In tutti i modi bisogna partire dalla scuola.
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