Una emergenza pandemica fonte di unità e di opportunità
Dopo lunghi mesi in cui la nostra vita è rimasta “sospesa” in una gabbia di paura e angoscia, cominciamo a rivedere uno spiraglio di vita e di socialità.
Siamo tutti stati vittime di una situazione tanto drammatica quanto inedita, che ha ci imposto un radicale ripensamento nelle nostre abitudini di vita e di lavoro. Una terribile emergenza che ci ha colpiti duramente sotto ogni aspetto, divenuta presto anche economica e sociale, tanto da aggredire moltissime attività produttive e commerciali, con riflessi immediati sui lavoratori dipendenti e autonomi.
Dobbiamo però anche rimarcare che in questi mesi di chiusura forzata una Nazione intera si è ritrovata nel fare fronte comune. Un senso di comunità si è rafforzato. La lezione è, ancora una volta, molto semplice, e si condensa in una sola parola: unità. Non c’è nemico, per quanto insidioso e terribile, che non si possa sconfiggere se si rimane uniti.
Ognuno di noi recherà per sempre il ricordo di quanto abbiamo vissuto – e che per molti versi stiamo tuttora vivendo – non soltanto con le parole lette o ascoltate. Ognuno porterà scolpite per sempre nella sua mente una serie di immagini, fotografie indelebili di quel che stiamo vivendo. Tra le tante, a molti è rimasta impressa quella che lo scorso 25 aprile ha ritratto Sergio Mattarella, il nostro Presidente, mentre sale in angosciosa solitudine gli scalini dell’Altare della Patria per rendere omaggio, come ogni anno, ai caduti della guerra e agli eroi della Resistenza. Una immagine struggente quanto significativa. L’incarnazione viva di una nazione intera che sale, con fatica e col capo pesante, una scalinata che sembra interminabile. In quella salita in solitudine ci siamo tutti noi. Con le difficoltà, i disagi, i nostri affetti lontani o – a volte – perduti per sempre. Eppure, con fatica ma anche con determinazione – come fece in quella occasione il nostro Presidente -, quella scalinata dobbiamo percorrerla tutta, ognuno per la sua parte e facendo il suo dovere. La salita è lunga, la solitudine sembra insopportabile, ma, passo dopo passo, dobbiamo farcela. Insieme.
Al tempo stesso, però, questa terribile pandemia ci mette di fronte ad una sfida epocale e forse irripetibile: immaginare e progettare un mondo nuovo. «Nulla sarà più come prima!» è la frase continuamente ripetuta da esperti delle più svariate discipline e studiosi dei fenomeni sociali. Ecco allora la sfida che la politica deve assolutamente raccogliere: guidare questa metamorfosi e non limitarsi ad assistere impotente ad uno “spettacolo” governato dalla contingenza e dall’eccezione. Ha scritto ad esempio Ezio Mauro: «Abbiamo il compito di ridefinire lo Stato sociale, ricostruendo il patto occidentale tra capitalismo, welfare, rappresentanza e democrazia liberale. Questo dovrebbe essere l’orizzonte culturale obbligatorio, dopo la fine delle ideologie, per qualunque sinistra contemporanea e per un governo e una maggioranza politica finalmente decisi a uscire dal binario stretto dello stato di necessità per affidare il futuro dell’Italia a un’idea».
Le politiche regionali alla prova delle sfide globali
In tutta la sua furia omicida, questo terribile morbo ha evidenziato una volta di più come la nostra esistenza si svolga ormai in un mondo sempre più connesso e interrelato. Un mondo dove beni, servizi e capitali si muovono sempre più liberamente abbattendo le barriere naturali imposte dalla geografia fisica e quelle artificiali dettate dalla geografia politica. In più, grazie alle interconnessioni virtuali, si muovono con velocità straordinaria anche i dati, che circolano travolgendo, spesso in modo dirompente, abitudini, costumi, identità. E così contribuiscono a costruire nuove abitudini, nuovi costumi, nuove identità. Un mondo senza confini, che può essere fonte di opportunità ma è anche foriero di insicurezza. Ed è purtroppo constatazione diffusa che oggi le opportunità sembrano essere appannaggio di pochi mentre l’insicurezza è assai più diffusa.
In questo mondo senza confini sembra esserci una vittima designata: lo Stato, nel senso di entità politica che esercita un potere sovrano indiviso su un territorio. Ma oggi su uno stesso territorio incidono tutta una serie di poteri e livelli decisionali, a cominciare da quello sovranazionale; senza contare l’influsso di potenti soggetti privati che operano a livello multinazionale, come tali svincolati da qualunque forma di controllo democratico.
Nella realtà di oggi gli Stati (persino quelli più estesi) sono divenuti ormai soggetti troppo… “piccoli” per governare i grandi flussi delle scelte macroeconomiche. Al tempo stesso, però, gli Stati sono troppo… “grandi” per svolgere con la necessaria efficacia politiche economiche e industriali. La dimensione ottimale è allora quella di entità substatali, in grado di adeguarsi ed esprimere al meglio le specifiche esigenze economiche, sociali, culturali, identitarie dei vari territori; entità che siano non solo in grado di istituire tra loro utili e snelle relazioni, ma anche interfacciarsi direttamente con le grandi entità sopranazionali come l’Unione europea.
Emerge insomma il ruolo delle Regioni come primo e maggiore fattore di sviluppo economico e sociale, oggi molto più che nel passato.
La scelta – timida – dei nostri Padri Costituenti a favore dell’ordinamento regionale avvenne nel contesto di un’economia prevalentemente agricola. Oggi i processi della contemporaneità richiedono una maggiore centralità dei Governi regionali, che sono in grado di assicurare al meglio quella flessibilità di governo richiesta dalla economia globalizzata. Come causa ed effetto della globalizzazione dell’economia si è accelerato il passaggio dal modello dell’impresa “fordista” al modello dell’impresa “a rete”, diffusa, interconnessa e ad alta tecnologia. Ma mentre l’organizzazione fordista era modellata in modo piramidale e aveva bisogno di interloquire con strutture centralizzate statali, l’impresa a rete ha bisogno di un’interfaccia di maggiore prossimità in un contesto territoriale favorevole. Un contesto che non sia né troppo accentrato né troppo frammentato in logiche micro-localistiche e municipalistiche.
Le cosiddette “variabili ambientali” costituiscono ormai fattori di grande importanza nelle scelte aziendali, sempre più dipendenti dal territorio in cui esse si trovano ad operare, sia sotto il profilo della infrastrutturazione sia con riferimento alla qualità dei servizi resi dai pubblici poteri (burocrazia, giustizia, ecc.). Sono queste le ragioni per cui – come avvertono gli studiosi di questi fenomeni – la competizione in una economia globale tende sempre più a porsi come competizione non solo fra imprese ma anche fra sistemi territoriali.
Questo è uno snodo fondamentale che mi sta particolarmente a cuore.
Le dinamiche dello sviluppo, nel nostro paese, hanno da sempre una spiccata articolazione territoriale. Gli studiosi parlano di “capitalismi del territorio”: forme peculiari di sviluppo e scambio variamente articolate su scala regionale e locale. Una varietà che per lungo tempo ha rappresentato uno dei punti di forza del nostro sistema paese, ma che è suscettibile di entrare rapidamente in sofferenza qualora non sappia o non possa far fronte, mediante robuste iniezioni di qualità e innovazione, alle nuove dinamiche globali. Inoltre, è ormai osservazione scontata che la produttività economica sia strettamente legata alle performance territoriali materiali e immateriali (livello di istruzione e formazione, efficienza delle pubbliche amministrazioni, qualità dei servizi pubblici, stato delle infrastrutture, ecc.). E non c’è dubbio che una bassa qualità di beni e servizi territoriali incida fortemente sullo stato di sviluppo economico di un’area urbana o regionale, di modo che le forme di disuguaglianza causate dall’impoverimento di queste ultime – giacché la disuguaglianza prospera nelle aree depresse assai più di quanto non faccia nelle aree sviluppate – non serpeggiano più soltanto tra ceti o categorie, ma riguardano ormai interi ambiti regionali o sub-regionali. Ma, se è così, allora la prima (anche se certo non l’unica) disuguaglianza da sconfiggere oggi è quella tra i territori.
Ecco allora la vera sfida di un riformismo che voglia davvero affrontare i nodi della contemporaneità: partendo dalla constatazione che uno Stato forte (che dunque tuteli attivamente i soggetti deboli e bisognosi) debba poggiare su una struttura economica sottostante altrettanto forte (cioè sviluppata), dobbiamo saldare politica economica e geografia economica, correlando la spinta alla competitività a politiche territoriali calate sui vari contesti locali. Del resto, non si tratta altro che proseguire lungo quella storia cui si accennava poc’anzi: lo sviluppo italiano è uno sviluppo per sua natura territoriale, e dunque non può che articolarsi territorialmente mediante “strategie di sviluppo rivolte ai luoghi”, secondo la felice espressione dell’urbanista Gabriele Pasqui.
Una sfida riformista per la Toscana
Di fronte alla vastità di queste sfide, se la politica deve essere la guida di un grande cambiamento, e se le entità regionali hanno ormai un ruolo di soggetti chiave di questa “guida”, ben si comprendono le ragioni per cui il passaggio elettorale del prossimo settembre sarà di cruciale importanza per lo sviluppo futuro della nostra Toscana e delle sue molteplici realtà territoriali.
A tale proposito sono convinto che, ancora una volta, la sfida riformista debba incarnarsi in una forza di cambiamento e di progresso. Per un riformista vero governare significa cambiare, sia pure attraverso la gradualità e la sintesi (contrariamente al suo nemico storico, ossia il massimalismo). È proprio questa grande pulsione verso il “cambiare” che ha costituito la principale motrice della forza e dei successi del centrosinistra in questa Regione. E il centrosinistra non deve aver paura di parlare di cambiamento, perché i suoi valori incarnano lo spirito più profondo di questa terra: uno spirito intriso di solidarietà e fratellanza, incline alla cooperazione e all’aiuto di chi è in difficoltà. L’esatto opposto di ciò in cui credono i nostri avversari, che hanno fatto della paura, dell’odio e delle divisioni sociali la cifra della loro intera azione politica.
Al tempo stesso, i molti anni di buongoverno del centrosinistra devono renderci orgogliosi di ciò che è stato realizzato, da ogni punto di vista. Anche in questi ultimi cinque anni molto di buono è stato fatto, e molto è stato iniziato o immaginato. Si tratta di proseguire in questa opera, anche avendo l’umiltà di cambiare quel che va cambiato e migliorare quel che va migliorato.
Tensione verso il cambiamento ma anche giustificato orgoglio per la nostra azione di governo di questi anni: queste devono essere le direttrici fondamentali che dovremo saper presentare agli elettori toscani che andranno al voto il prossimo settembre.
Fatti questi primi cenni sul piano generale, vorrei adesso affrontare alcuni aspetti specificamente dedicati al territorio di Pistoia e provincia, scusandomi in anticipo con quei lettori non direttamente interessati a tali dinamiche territoriali.
Pistoia chiama Toscana: un futuro di sviluppo equo e sostenibile da costruire insieme
Cercando di calare sul territorio pistoiese le premesse generali da cui si è partiti in questo scritto, ritengo che queste siano alcune delle idee su cui si possa impostare una futura azione di governo regionale e locale.
1. Una Pistoia integrata nell’area metropolitana
Il nostro territorio – a cominciare dal Comune capoluogo – deve assumere un ruolo strategico nell’area metropolitana, la parte più ricca e vitale della Toscana, alla quale dobbiamo “agganciarci” sempre più – senza complessi o timori di subalternità – in termini di infrastrutture e collegamenti. Non vi è dubbio che una città integrata e ben collegata con le aree maggiormente sviluppate tramite grandi reti infrastrutturali offra maggiori attrattive di investimento e sviluppo oltre che di residenza.
La ingente quantità di risorse, che auspicabilmente verranno messe a disposizione per affrontare la situazione, dovrà essere sapientemente utilizzata anche per indirizzare politiche integrate relative agli assetti territoriali e alle reti infrastrutturali e di trasporto, a cominciare dalla progettazione di una linea tramviaria veloce che colleghi Pistoia alle città di Prato e Firenze.
Al tempo stesso, una politica seria di infrastrutture e assetti territoriali deve fare perno anche su una grande azione di manutenzione straordinaria del nostro territorio nonché sulla riqualificazione del patrimonio pubblico. La manutenzione di scuole, ospedali, ferrovie, strade, strutture sportive, ecc., deve essere vista non come costo ma come investimento, non solo in termini economici nell’immediato (si pensi al mondo dell’edilizia) ma anche nella prospettiva di rendere più fluidi ed efficaci quei collegamenti a rete di cui si diceva.
2. Una sanità di prossimità e sussidiarietà
Utilizzando i fondi messi a disposizione dall’Unione europea, abbiamo un’occasione straordinaria per innalzare notevolmente gli standards del nostro servizio sanitario. Essendo la sanità materia di competenza concorrente tra Stato e regioni, con un bilancio di queste ultime destinato per la gran parte a tale settore, è evidente come la sfida che abbiamo davanti debba essere raccolta primariamente al livello regionale.
I prossimi anni dovranno vedere un investimento importante su tutti i livelli: sia su un piano di sussidiarietà “verticale”, potenziando al massimo le strutture pubbliche ospedaliere e quelle territoriali che su un piano di sussidiarietà “orizzontale”, rafforzando la sinergia con il variegato mondo del privato sociale e del privato convenzionato.
Nel far questo si dovrà distinguere sempre più tra il livello di programmazione, affidato alle strutture di vertice dell’area vasta, ed un livello di gestione dei servizi più vicino al territorio. È sempre più necessario intervenire sulla medicina territoriale di “base” e sul sistema di accesso ai servizi, che deve essere efficientato; si devono rafforzare le Società della salute – come livello fondamentale di prossimità – e investire nelle Case della Salute – come luogo di erogazione dei servizi e delle cure sanitarie di primo livello.
3. Una tutela dell’ambiente motore di sviluppo e di eguaglianza sociale
Per troppo tempo ambiente e sviluppo economico sono stati considerati temi da affrontare distintamente, o addirittura da collocare programmaticamente su fronti contrapposti. È il momento di sovvertire totalmente questa impostazione. I fenomeni globali dell’emergenza climatica, da un lato, e dell’aumento della povertà e disuguaglianze, dall’altro, impongono un radicale cambio di paradigma: da una contrapposizione dialettica ad una complementarietà intrecciata. Ciò comporta innanzitutto continuare a investire con decisione sull’economia circolare, la migliore coniugazione possibile tra sviluppo economico e tutela degli ecosistemi. Ma anche investire in progetti di rigenerazione urbana degli spazi cittadini e in energie rinnovabili sull’intero patrimonio pubblico e privato.
Per una realtà come la nostra, tradizionalmente vocata alla produzione di… “verde”, una simile coniugazione si rende ormai imprescindibile.
Il nostro distretto florovivaistico continua purtroppo a subire una crisi mai del tutto superata dalla recessione del 2009 – situazione purtroppo ulteriormente aggravatasi dall’emergenza Covid. Le sofferenze subite in questi anni si sono scaricate in modo particolare sui soggetti più piccoli, anelli deboli della filiera produttiva. Oltre a garantire tempi certi e ristretti per i pagamenti, è necessario stimolare la domanda interna di prodotti florovivaistici, elaborando politiche fortemente incentivanti sul verde pubblico e privato. Insomma, è necessaria una vera politica di settore, da elaborare a tutti i livelli – non ultimo quello regionale -, che intervenga per rivitalizzare un sistema in uno stato di fortissima debolezza, con effetti fortemente negativi sull’intera economia locale.
4. Una Regione protagonista nel sostegno alle attività culturali, turistiche e sportive
In una realtà come la nostra, primaria importanza assume il sostegno al sistema degli istituti culturali, riaffermando il legame identitario fra essi e il territorio su cui insistono. Dobbiamo riaffermare la centralità dell’attore pubblico nella programmazione delle politiche culturali e sostenere un modello diffuso di cultura, valorizzando anche modelli positivi, quali le cooperative di comunità, che mettono insieme sviluppo economico, promozione culturale e promozione turistica e i sistemi museali diffusi.
Il nostro è un territorio tradizionalmente ricco, sia nella quantità che nella qualità, di soggetti operatori della cultura. Un settore messo seriamente a rischio dall’emergenza Covid. Occorre quindi, facendo buon uso dei fondi messi a disposizione dal MIBACT, rafforzarne le garanzie e le tutele occupazionali, la stabilità lavorativa e la formazione continua.
Un’attenzione particolare dovrà essere prestata alla situazione dell’edilizia scolastica. Una situazione di particolare sofferenza già evidenziatasi prima dell’avvento del Covid, e che potrebbe mettere a rischio la ripresa regolare delle attività scolastiche nel prossimo autunno. Utilizzando i finanziamenti messi a disposizione dal Governo, è bene che Regione si faccia parte attiva di un confronto con gli enti interessati per la risistemazione degli edifici scolastici nonché per la predisposizione di un piano integrato di ripresa delle attività scolastiche sulla base delle Linee Guida recentemente approvate dal Ministero dell’Istruzione.
In una realtà come la nostra il turismo assume una (almeno) duplice natura: ad un turismo prettamente culturale per le aree urbanizzate si affianca un turismo a vocazione maggiormente (anche se non esclusivamente) naturalistica per le aree montane e pianeggianti. La Regione dovrà farsi parte attiva, assieme ai Comuni dell’area, nella valorizzazione dell’offerta turistica in tutti i suoi aspetti e modalità. Non v’è dubbio che uno dei volani di ripresa economica del nostro territorio cittadino risieda nella sua variegata ricchezza e bellezza, e pertanto dovrà essere sviluppata un’offerta turistica che si caratterizzi per la sua diversità attrattiva, al tempo stesso mantenendo una sua riconoscibilità identitaria.
L’attività sportiva è una componente fondamentale della nostra vita, sul piano della forma fisica individuale e su quello del legale sociale. Negli ultimi anni è divenuto di importanza pressante lo stato delle strutture e degli impianti sportivi della nostra città: stadio, palazzetto, palestre, piscine, campi di calcio, campi di rugby, ecc. La situazione è assolutamente drammatica e riguarda praticamente tutti gli impianti: grandi e piccoli, di vecchia e nuova costruzione. Intere discipline sono scomparse oppure costrette ad “emigrare” in altri Comuni. La Regione Toscana deve allora farsi carico di una grande politica di finanziamenti, mediante appositi bandi accessibili da soggetti pubblici e privati, che dia il necessario impulso ad una risistemazione delle strutture consentendo così una rivitalizzazione dello sport pistoiese. Una esigenza molto sentita alla quale si deve dare risposta in tempi brevi.
5. Un assetto istituzionale adeguato e razionale
Del pari imprescindibile è il tema di un riassetto dei livelli istituzionali sottostanti quello regionale, ovviamente nel rispetto delle competenze e fatta salva la potestà legislativa statale.
Con l’esito infausto del referendum costituzionale del 2016, la riforma delle Province iniziata con la legge Delrio del 2014 è rimasta a metà di un guado. È tuttora in corso un processo di riorganizzazione e riallocazione di funzioni amministrative. Si tratta di un processo che occorre completare con decisione, ponendo fine ad una sorta di “limbo” istituzionale, nel quale gli enti provinciali, pur essendo di fatto svuotati in termini di finanziamenti e risorse, sono ancora titolari di materie fondamentali per la gestione del territorio, con tutte le difficoltà che comporta tale situazione, in primo luogo per l’erogazione dei servizi.
Diviene pertanto fondamentale proseguire in una riflessione – anche a livello regionale – rispetto al tema dell’assetto istituzionale dei nostri territori e della sua riorganizzazione. Ad esempio, ritengo che si debba continuare nel processo di stimolo e incentivo alla unione di Comuni, e anche alla fusione dei medesimi, ovviamente nel rispetto della volontà delle comunità interessate e tenendo conto delle caratteristiche di omogeneità morfologica e socio-economica. Stimolare pertanto una riflessione che veda un ampio coinvolgimento non solo dei soggetti istituzionali, ma anche delle varie realtà economiche e sociali, evitando dunque che tali processi vengano percepiti come “imposti dall’alto”, con effetti e ricadute che è facile immaginare.
Tra orgoglio e cambiamento: la nostra sfida
Questi sono soltanto alcuni temi che sarebbe utile e necessario riportare nel dibattito pubblico stimolato dalla campagna elettorale per le prossime elezioni regionali di settembre. Molti altri temi sarebbero certamente meritevoli di essere toccati, ma non voglio approfittare oltre misura dello spazio concesso.
Concludo riprendendo la felice espressione di Ezio Mauro citata all’inizio: affidare il futuro a un’idea. Ecco, sono convinto che valga anche per la nostra bella Toscana. Per poter affrontare e vincere la sfida, anzi le sfide – sia quella elettorale che quella di governo -, dobbiamo recuperare quella straordinaria carica ideale fatta di sviluppo locale, crescita economica, solidarietà e giustizia sociale, che ha ispirato per tanto tempo il cammino del centrosinistra toscano. Dobbiamo guardare con orgoglio e gratitudine alla molta strada percorsa lungo quel cammino, cercando di essere degni di raccogliere nelle nostre mani il testimone del cambiamento.
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Note bibliografiche al testo
- La citazione di Ezio Mauro del paragrafo 1 è tratta dal suo Liberi dal male. Il virus e l’infezione della democrazia, Feltrinelli, Milano, 2020.
- Sui temi del par. 2 ho tratto utilissimi spunti da: B. Caravita, Sovranità e autonomia nel mondo globalizzato, in B. Caravita, F. Fabrizi e A. Sterpa, Lineamenti di diritto costituzionale delle Regioni e degli enti locali, Giappichelli, Torino, II ed., 2019, pp. 3 ss.; A. Barbera, L’assetto territoriale delle istituzioni regionali e locali nell’era della globalizzazione, in Studi in onore di Antonino Pensovecchio Li Bassi, Giappichelli, Torino, 2004, pp. 119 ss.; G. Pasqui, I territori dello sviluppo italiano: diagnosi e prospettive, in AA.VV., Italia 2030. Proposte per lo sviluppo, La Nave di Teseo, Milano, 2020, pp. 172 ss.
- Sulle sfide attuali del riformismo politico sono fondamentali due recenti volumetti: V. Ferla (a cura di), Riformisti. L’Italia che cambia e la nuova sovranità dell’Europa, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2018; D. Del Prete (a cura di), Anno zero. Idee riformiste per il futuro dell’Italia, Luiss University Press, Roma, 2019. Purtroppo in entrambi manca una trattazione specifica dei temi dello sviluppo locale e di un riformismo “territoriale” nel senso che ho cercato di tratteggiare, anche se, essendo pubblicazioni di indirizzo orientativo generale, tale mancanza può ritenersi tutto sommato comprensibile.
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