Come non essere d’accordo con l’Intervista di Stefano Frangerini di Ance Toscana su Soloriformisti del 11luglio ca. Tocca diversi temi, alcuni anche molto specifici da approfondire per non dare risposte inadeguate, solo propagandistiche, ma alla fine il messaggio è uno solo: lasciateci lavorare. Può sembrare uno sfogo a tratti semplicistico. Una sorta di ribellione di chi sta dalla parte del “fare” rispetto a chi sta dalla parte del “controllare”, vista sempre di più come una cosa inutile e burocratica. Ma così non è. Il fatto è che negli anni l’attività di indirizzo, programmazione e controllo della Pubblica Amministrazione, che è una attività di alta pregnanza politica, si è sempre di più ingarbugliata quasi da perdere di vista gli obiettivi da raggiungere mantenendo soltanto, in maniera rigida, le procedure e gli strumenti di intervento. Per cui le pratiche autorizzative sono diventate sempre di più time spending, ripetitive, inefficaci e spesso senza il rispetto delle logiche di vita dei cittadini e di competitività delle imprese che non sempre, giustamente, coincidono con quelle interne della Pubblica Amministrazione.
Questo distacco ha creato nel tempo una incomunicabilità fra i due mondi, quello privato e quello pubblico, con il ripetersi di illogicità e di incomprensioni che hanno dato vita a una ricca aneddotica sulle Conferenze dei servizi che assomigliano sempre di più ad Assemblee plenarie dell’Onu o a Valutazioni di impatto Ambientale che durano di più della realizzazione in cantiere delle opere.
Una tale situazione era ed è un peso per il paese. Quando si parla di un paese “frenato” si allude anche, se non principalmente, a questo. Ma questo freno se era insopportabile in tempi normali ora, in piena crisi da coronavirus con le previsioni di decrescita in atto per il prossimo anno a dir poco drammatiche per il pil e per l’occupazione, appare tragico.
Lo Stato, forse anche con un eccesso di protagonismo attivo, cioè non solo di supporto al sistema, sta pompando risorse verso i soggetti privati che stanno vivendo una crisi inusitata. Ed è giusto così, in una prima fase. Ma a partire dall’oggi ciò che deve crescere è l’attività privata, attraverso l’azione di imprese, lavoratori e istituzioni pubbliche fornitrici di servizi, fra cui in testa quelli sanitari, con un sostegno pubblico agli investimenti che devono realizzarsi a ritmi pressoché doppi del recente passato.
Perché ciò accada bisogna che chi è abilitato a “fare” e ne ha capacità operative e di mercato e risorse di sostegno, venga messo nella migliore condizione di andare avanti senza essere frenato dai lacci e lacciuoli di “Carliana” memoria.
Ed ecco allora il senso dell’intervista di Frangerini. Ma vediamo quali dovrebbero essere le risposte al “grido di dolore”.
In primis il Decreto Semplificazione all’ordine del giorno dell’azione del Governo. Il decreto semplificazione ha alcuni punti condivisibili. In particolare la semplificazione e i tempi delle conferenze dei servizi, delle valutazioni ambientali e della gestione delle gare specialmente per le opere al di sotto di una certa soglia. Ma non tocca per niente i tempi e modi di programmazione e quelli di gestione del finanziamento e della progettazione. Ed invece quei tempi sono lunghi, i modi sono farraginosi e spesso privi di qualsiasi logica ed efficacia in termini di risultati raggiunti. Vogliamo parlare dei tempi di deliberazione del Cipe? O delle lunghe e tortuose pratiche di concertazione interministeriale? O dell’assenza di Fondi per la progettazione e quindi di “parchi Progetti” pronti per aprire davvero dei cantieri? O delle defatiganti pratiche di controllo ex ante della Corte dei Conti e dell’Anac? Insomma non possiamo fermarci solo alla parte “bassa” del processo ma anche a quella “alta” che è altrettanto dispendiosa di tempo e spesso altrettanto irrazionale.
Poi un tema di grande rilevanza è l’idea di puntare alla rigenerazione e riqualificazione urbana collegata all’altrettanto principio valido del basso consumo di suolo “green”. Due concetti importantissimi che vanno tenuti assieme. Ma, sono d’accordo con Frangerini, se le cose sono bloccate in tutta Italia da anni e se le esperienze positive si contano sulle dita di una mano ci sarà evidentemente un problema. Il problema è che ricostruire, in qualità, dentro le città costa maledettamente di più che costruire fuori negli spazi green. Senza parlare dei vincoli e freni a progetti di rilievo dentro le città. E allora occorre lavorare su tre fronti: alleggerire i vincoli, premiare i progetti di qualità, facendone recuperare in parte i sovracosti, e prevedere la cosiddetta emigrazione dei diritti a costruire fuori delle città liberando spazi ad uso comune e di verde dentro la città quando questo è più conveniente. Ma per fare tutto questo occorre una politica urbanistica meno vincolistica e più performante. Tanti anni fa dissi ad un convegno che occorreva “passare dall’urbanistica degli standard all’urbanistica della bellezza”. Aggiungerei ora “e della qualità”. Era uno slogan. Ma penso ci si possa lavorare.
Vorrei toccare infine un ultimo tema. Ripreso in vari punti nell’intervista. La crisi da coronavirus ha fatto ritirare fuori dalle cantine i ferrivecchi dello scontro ideologico pubblico vs privato. Il privato guarda solo al proprio interesse ed invece noi dobbiamo guardare alla vita dei cittadini. E quindi più pubblico c’è e meglio è. Non è nuova come cosa. E nonostante la storia abbia più volte messo in dubbio questa equazione, tanti logici un po’ svogliati la ritirano sempre fuori. Con la stessa sicumera. E lo stesso pressappochismo di sempre. La ripresa, se e quando ci sarà, e ci dovrà essere, non potrà che far perno sull’attivismo dei soggetti privati e dei soggetti imprenditoriali anche nella versione “mista” che è quella tipica delle nostre imprese produttrici di servizi pubblici. Quello che invece va cambiato è il modello dello Stato controllore. Uno Stato disimpegnato, arruffone, connivente e privo di qualità tecnica al proprio interno ha dimostrato sia nella sanità che nelle autostrade o nei servizi pubblici di essere “prigioniero sciocco” degli interessi, talvolta legittimi talaltra un po’ meno, dei privati. E quindi è nello Stato controllore non gestore che si deve investire. Più tecnici, più analisti e più dirigenti capaci di leggere le leggi ma anche i mercati. Questo ci vuole per il dialogo pubblico privato. Questo ci vuole per far ripartire il paese presto e bene. Chi l’ha detto che andare veloci non possa voler dire anche andare per la giusta strada?
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