Sulla questione dello smart working nel pubblico si sta ripetendo qualche cosa di simile a ciò che accadde quindici anni fa quando, con I nullafacenti, posi la questione di un’area troppo ampia delle amministrazioni nella quale la produttività è vicina a zero. Chi non voleva che sulla questione neppure si aprisse una discussione scatenò un fuoco di sbarramento, presentando le mie osservazioni come un “attacco indiscriminato ai dipendenti pubblici”. Oggi, per avere io risposto a una domanda, nell’ambito di una lunga intervista, dicendo che in un’area troppo ampia del pubblico il “lavoro da remoto” maschera una situazione effettiva di non lavoro, mi si scatena contro il fuoco di sbarramento di chi mi presenta come “nemico dei dipendenti pubblici” e “detrattore dello smart working”. Affinché il fuoco di sbarramento funzioni, però, occorre falsare quello che ho detto (v. fra tutti Elisabetta Ambrosi, su ilfattoquotidiano.it del 22 giugno): cioè mettermi in bocca che per tutti i dipendenti pubblici questo periodo di lavoro da casa sia stato una vacanza. Cosa che non ho mai affermato, ben sapendo che una parte di essi ha lavorato per davvero, talvolta anche più di prima.
Perché fanno così? Per questo: hanno bisogno di forzare, rendendola grottesca, la posizione sulla quale non vogliono che neppure si apra una discussione. È uno dei modi nei quali si concreta la tecnica del “cordone sanitario” intorno agli intellettuali scomodi (un altro modo, meno raffinato, è l’insulto, magari condito con minacce, che domina su Twitter e gli altri social).
Nel frattempo, in un flash di agenzia del 19 giugno si legge: “Min FP e sindacati lavorano a un protocollo per il rientro in sicurezza”. Nessuno che si chieda perché questo non sia avvenuto già a fine aprile, come nelle grandi aziende private. E il 22 giugno la FP dichiara a Repubblica: “Entro fine anno censiremo le attività che si possono svolgere da remoto: puntiamo al 50%”. Ma il 17 la ministra non aveva detto di essere “orgogliosa del 90% di statali in smart working”, addirittura con aumento di produttività?
(questo articolo con il consenso dell’autore è stato ripreso dal blog www.pietroichino.it)
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