Giovane studente di filosofia all’Università di Pisa nel 1960 insieme a Adriano Sofri, Gianmaria Gazzaniga e altri che poi sarebbero confluiti nella sinistra extraparlamentare, provenendo da una famiglia borghese liberale, mi iscrissi al PCI. Ma a differenza di questi compagni di Università mi piacque subito il realismo politico di Giorgio Amendola, quello che era chiamato il leader della destra del partito.
Lo seguii e lo conobbi come dirigente di partito. Ma la mia frequentazione risale ad alcuni anni successivi. Nel 1977 lo conobbi a Roma durate la inaugurazione dalla Barcaccia di una mostra della sua moglie e compagna di una vita Germaine Lecocq. Nacque da subito una certa simpatia che sfociò l’anno dopo in una mostra nella mia galleria di Livorno. Partecipò tutto il pubblico della città, c’era anche l’apparato del partito e della Compagnia portuali, con il grande console Italo Piccini. Una festa indimenticabile. Le vendite numerose, il successo straordinario. Andai poi alle Botteghe oscure per fare i conti. Il Giorgione si divertiva molto a fare l’imprenditore di sua moglie. Molto preciso e scherzoso facemmo i conti, disse che così come per i suoi libri di memorie 8 famoso l’Isola che aveva venduto moltissime copie) questi soldi gli erano serviti e gli servivano per una non grande ma graziosa casa al mare a Bocca di Magra a Sarzana. Da li in poi nacque una amicizia per cui spesso andavo con mia moglie a cena da loro in estate. Erano gli ultimi suoi anni. Stava ancora bene ma era molto dimagrito e sembrava un’altra persona.
Di lui ricordo ancora molti episodi e aneddoti molto interessanti anche sul piano politico oltre che umano.
Nel 1978 ad esempio a Livorno c’era la crisi del Telegrafo. Monti voleva chiuderlo per accorparlo alla Nazione. Le maestranze erano in sciopero, la tensione era alta. Insieme ad Amendola eravamo a pranzo al ristorante Gennarino in Via S. Fortunata. Improvvisamente si avvicina al tavolo un signore di una certa età che gli dice .” Compagno Amendola io sono il padre di un tipografo che perderà il posto di lavoro”. Amendola lo guarda e gli risponde:” È un bravo operaio? E allora troverà un altro lavoro! Se l’azienda va male non può rimanere aperta”. Questo padre rimase di stucco perché non si aspettava una risposta così tranchant, salutò e se ne andò.
Giorgio mi disse:” Bisogna che la gente e anche i compagni capiscano che non esistono posti ma il lavoro che ha le sue regole; se una azienda non guadagna non può rimanere aperta.
Un’altra volta eravamo a Massa per una conferenza sul tema dei redditi familiari, in una sala pubblica, molto affollata. Ad un certo punto si alza una persona ancora giovane che gli chiede se sia giusto che sua madre possa vivere con una pensione allora di 400.000 lire. Domanda: “ Quanti contributi ha versato tua madre per riscuotere quella pensione?”. “Nessuno”, gli rispose l’ interlocutore. “E allora state tutti in casa insieme e tua madre contribuirà al bilancio familiare con la sua pensione”. Silenzio in sala.
In occasione della presentazione del suo libro “L’ Isola”, parlando del periodo del confino a Ventotene, descrive il periodo del soggiorno nell’isola come uno dei migliori e più felici: sole, mare, aragoste, una vera luna di miele: non gli piaceva fare la vittima. E non voleva neppure dire cose esagerate (come oggi con grande ignoranza sin usa dire. Ad esempio giudicare il fascismo alla stregua del totalitarismo nazista.
Scriveva: “..quando divenne regime, il fascismo sostituì alla violenza squadrista, la violenza di stato, gestita con i sistemi della polizia giolittiana, da Bocchini a Senise. Perché quando si apriranno gli archivi, usciranno fuori molte domande di grazia, molte richieste di sottomissione.” (Intervista sull’antifascismo, ed. Laterza pag.12 ).
Spiazzava sempre l’interlocutore, rifiutando il conformismo di partito per una naturale tendenza ad una autonomia intellettuale assoluta.
Vorrei chiudere col ricordo dell’ultimo incontro, un mese prima della sua scomparsa, a Roma, in piazza Cenci, al Ghetto, in occasione della inaugurazione di una mostra. Lo incontro con la moglie Germaine, ci salutiamo cordialmente, e aspetto l’occasione per chiedergli che cosa ne pensasse della reprimenda che Berlinguer gli aveva riservato qualche giorno prima per la sua affermazione che il salario non fosse una variabile indipendente. Mi rispose in modo tagliente: “A questo punto della mia vita penso solo al bene del Paese, e non del partito”. Pensandoci bene mi sembrò che nel corso della sua intera vita avesse seguito questo principio, e che ora avesse il coraggio di dirlo pubblicamente.
Non dimenticherò mai questa risposta: la risposta di un grande italiano.
Che possa riposare in pace, ovunque oggi si trovi e, come dice la trazione ebraica: “Che la terra gli sia lieve”. Ciao Giorgione, non ti dimenticherò mai!
Paolo
Molto bello. Ho avuto la fortuna, come decine di migliaia di altri, di ascoltare il.suo ultimo.intervento al.congresso nazionale del PCI, un anno prima della sua morte. Molto bello il suo riferimento alla lotta partigiana e a via Rasella. L’ applausi lo sommersero, per diversi minuti la platea congressuale gli impedì di proseguire.
Ricordo indimenticabile