E’ paradossale, ma si spiega benissimo alla luce della storia della sinistra italiana dell’ultimo secolo. Il PD si trova oggi imbrigliato in una situazione dalla quale è difficilissimo uscire perché è con gli alleati 5Stelle tanto remissivo quanto il PCI, PDS,DS fu aggressivo nei confronti dei partiti riformisti.
Fino dalla nascita, ovvero dalla scissione di Livorno del 1921, il PCI si dimostrò tanto leninista che di più sarebbe stato impossibile. Subito orientò la sua azione attraverso due pilastri ideologici: il primo, ‘pas d’ennemis à gauche’ , ovvero non avrai altra sinistra che noi e chi ci prova è un impostore che fa il gioco del nemico. Il secondo pilastro partiva dal medesimo presupposto di essere i soli ad avere ragione: i riformisti non sono di sinistra. Mentono e sono venduti al capitale: per cui, meglio impedire le loro riforme per mantenere una situazione idonea a quella rivoluzione che presto saremo noi a fare. Ed è questo secondo pilastro che ha impedito all’Italia, unico fra i paesi europei, di avere una moderna sinistra riformista in alternativa feconda ad uno schieramento di destra moderata.
Fu così, infatti, che Giacomo Matteotti fu giudicato da Antonio Gramsci, dopo il suo assassinio fascista, “cavaliere del nulla”, Saragat ed i socialdemocratici furono moralmente linciati nelle piazze per la loro scelta per la democrazia e contro il comunismo, e Bettino Craxi aggredito continuamente per avere spostato il PSI nel solco del socialismo riformista europeo. Dopo la caduta del muro di Berlino, il PCI cambiò pelle, essendo il comunismo diventato un prodotto senza adeguato mercato. Dopo vari tentativi, ritenne di avere trovato la soluzione dando vita al PD con gli eredi della sinistra democristiana, senza nemmeno provare ad aggregare gli eredi del socialismo riformista. E siccome i pregiudizi sono duri a morire e parlano più delle declamazioni di principio, il nuovo partito si presentò subito in contraddizione con se medesimo. Veltroni, il primo segretario, dopo avere proclamato la “vocazione maggioritaria” della nuova creatura, negò per le elezioni del 2008, l’apparentamento, cioè la sopravvivenza parlamentare al PSI, ma la concesse a Di Pietro. Nessuno ha mai spiegato perché a Di Pietro venne fatto questo favore, dopo che già gli era stato regalato un seggio parlamentare nella roccaforte toscana del Mugello. Motivi di gratitudine? Convinzione di un radioso futuro, rivoluzionario o riformista con il PM di mani pulite? Interrogativi che, forse, saranno sciolti dagli storici.
Ai dirigenti attuali del PD spetta, invece, uscire dalla gabbia dell’ alleanza con i 5Stelle. Ovvero, dal modo in cui la stanno gestendo. Perché stringerla, per un partito che aspira a rappresentare l’architrave del sistema, non è stata una decisione sbagliata. Sbagliato sarebbe, però, pensare di farne il perno per costruire il futuro, ripetendo, oltretutto, gli errori del passato. Assecondare gli alleati di governo nelle loro impuntature demagogiche (taglio dei parlamentari, vitalizi, Mes, abolizione della prescrizione e simili giaculatorie fasciostaliniste) lascerebbe il PD con un pugno di mosche e con l’immagine di una forza incapace di adeguarsi alle democrazie occidentali. Così come coltivare l’illusione di mettersi al traino della popolarità di Conte, dovuta anche alla remissività del PD. Piuttosto converrebbe guardare al partito che non c’è e farsi promotore di una aggregazione che comprenda i ceti produttivi sempre più smarriti, e tutti coloro che sentendo il richiamo non del populismo ma della cultura laica e riformista, guardano all’Europa. E’ venuto il momento, per il PD, di giocare in proprio e farsi promotore di questa nuova aggregazione. Non è detto che porti alla vittoria. Ma, almeno, servirà a rimettere sui giusti binari il convoglio.
oreste lodigiani
Condivido totalmente. Grazie per la chiarezza
Livio Giannotti
Condivido l’analisi di Cariglia. La sensazione diffusa di “inesistenza” e “inconsistenza” di un soggetto politico riformatore credibile, è alla base di una diffusa sensazione di smarrimento di un vasto elettorato genericamente collocabile in una vasta area della sinistra riformista. Il gruppo dirigente dell’ex PCI aspettò la caduta del muro di Berlino accumulando un ulteriore ritardo storico , e non volle fare i “conti con la storia” che avrebbe dovuto riunire la casa socialista (d’altra parte anche Craxi non aiutò, come recentemente ha scritto Martelli). E’ così che ha preso forma “la palude politica” in cui il Paese è impantanato. Se ripartire da qui non può significare riproporre quello schema politico è però necessario per provare a costruire un soggetto politico che abbia l’ambizione di ridare autorevolezza alla Politica e all’Italia in Europa