Cos’è per te il lavoro? È’ una domanda che faccio spesso ai candidati nella mia attività di selezione del personale.
È’ una domanda potente, la verità è che spesso noi recruiter non facciamo questa domanda perché abbiamo paura della risposta.
Del resto cosa potremmo dire alla ragazza di 28 anni laureata con un master, che si è’ già fatta tre anni di tirocinio pagato poco più di 1000 euro al mese? Che non la possiamo assumere, perché il committente
non può permettersi una risorsa a tempo indeterminato? E poi se è fidanzata, si sposa e rimane incinta?
Tutte domande che spesso le piccole imprese si fanno, causa un costo del lavoro altissimo e costi elevati anche per la formazione in ingresso. E il rischio di perdere una risorsa formata non è contemplato.
Cosa diciamo al 50enne che ha perso il lavoro di una vita, che amava, magari nel turismo. Un’ attività molto specialistica e poco riconvertibile?
Cosa diciamo alla signora con due figli piccoli, magari separata, che non riesce a trovare lavoro, anche se giura e spergiura che ha una mamma/nonna giovanissima a cui lasciare i pargoli?
Che senso possono e possiamo dare alla parola lavoro?
La politica ha, in questo ambito, un unico scopo: far diventare il lavoro da sussistenza a realizzazione di sé. Da paura a responsabilità, da clientelismo a scelta. Finalmente un atto libero del proprio progetto di vita. Se non riesce, ha fallito.
Attraverso il lavoro, attraverso la costruzione del proprio progetto professionale, impresa, lavoro autonomo o lavoro dipendente costruiamo noi stessi, la nostra identità, occupiamo uno spazio nel mondo con i nostri progetti e desideri. Con il guadagno del nostro lavoro sperimentiamo la libertà, l’autonomia economica, la responsabilità’, la possibilità di scegliere. Il lavoro condiziona la nostra emotività, la nostra felicità, le nostre speranze. Il nostro immaginarci nel futuro. E stare per troppo tempo nell’area della precarietà del lavoro rende precario anche il proprio progetto di vita.
La politica che non si occupa di lavoro, per scelta o per incapacità, lascia le persone nella disperazione, nel ricatto, nella paura.
La peggior politica però non è quella che si occupa poco del lavoro. La peggior politica è quella che fra burocrazia, ideologia e ignoranza dei meccanismi di funzionamento del mercato ostacola il fare l’impresa e la creazione attiva di lavoro. È quella che accetta una scuola e un sistema formativo non all’altezza dei tempi e del tutto privo degli elementi di innovazione che sono necessari per stare a pieno titolo nel mondo d’oggi. Ed ancor di più in quello di domani.
La peggior politica è quella che spende soldi pubblici in sussistenza come con il reddito di cittadinanza senza formare e trovare occasioni di lavoro per i disoccupati.
La peggior politica è quella che crea scatole burocratiche come l’ Agenzia per il lavoro regionale, o per il turismo o per la promozione, del tutto autoreferenziali negli obiettivi e nel funzionamento, non creando valore per il cittadino, per l’impresa o per l’operatore economico, Ma creando poltronifici con direttori dirigenti e funzionari pubblici, che non raggiungono performance adeguate.
Sappiamo dai dati, molto difficili da trovare in rete, e dalle esperienze di chi ci è’ passato, quanto sia frustrante cercare lavoro con i centri per l’impiego. Le performance sono bassissime e la ricerca di lavoro tramite CPI è irrisoria come la percentuale di successo. Le persone a cui i CPU sono riusciti a trovare lavoro si aggirano intorno al 2 %, una percentuale ridicola rispetto ai costi enormi di personale.
Il paradosso, ormai risaputo, è che il Centro per l’impiego serve a trovare lavoro a chi ci lavora, stipendiato con soldi pubblici però.
Ma non bastavano.
Ora a questi si aggiungono anche i navigator. Che in un anno hanno trovato lavoro solo per sé stessi.
Se una struttura, un’agenzia, un centro non producono risultati si sono sprecati soldi pubblici. E allora quella struttura quell’agenzia quel centro vanno chiusi. A meno che non li si porti a performance più elevate in pochi anni con un piano di sviluppo.
Gli strumenti pubblici devono sempre essere monitorati. E devono essere trattati con la cultura dello sperimentalismo: se funzionano e raggiungono obiettivi bene. Altrimenti vanno cambiati o azzerati.
La conclusione è che le istituzioni locali non devono occuparsi solo del diritto al lavoro ma soprattutto del diritto ad avere una rete qualificata ed efficace di servizi che aumentino per ogni singolo individuo la possibilità di trovare un lavoro adeguato alle proprie aspirazioni e alle proprie capacità. E se non sono sufficienti, ad aggiornarle ed incrementarle.
Potenziamo quello che funziona e che ci professionalizza. Cerchiamo di sviluppare le attività in cui siamo unici al mondo e eliminiamo quello che è inutile e dispendioso. E non è’ una frase alla Massimo Catalano. Dovrebbe essere la linea di rinascita del paese dopo la crisi da Coronavirus.
Un esempio calzante possiamo trovarlo nel Turismo. Cambiamo il modello di turismo in Toscana, cambiamo paradigma totalmente, Dobbiamo cambiare il modello di ospitalità, pensare soprattutto al turismo business, alla fieristica, ai convegni, allo sport, alla natura, all’enogastronomia. E meno alla massa dei “turisti gregge” che seguono superficialmente solo la “corrente principale”. Che è spesso quella decisa dai principali “tour operator” che governano i flussi.
Firenze potrebbe diventare l’eccellenza in due segmenti di turismo, in particolare: turismo di qualità e il turismo accessibile per portatori di disabilità. Firenze potrebbe sostenere un concetto di accessibilità che va oltre l’assenza di barriere architettoniche. Offrire una proposta turistica che rispetta i diversi bisogni, innalzando la qualità dell’accoglienza: dai trasporti, ai musei, alla ricettività, alla ristorazione, ai percorsi, allo sport, ai servizi di utilità. Il segno distintivo di una Firenze che riesce a produrre eccellenza non solo con i suoi artigiani, non solo con i suoi monumenti o con le sue piazze. Ma con i suoi valori, con i comportamenti di chi ci abita e soprattutto con la civiltà che abbiamo ereditato.
Nel Turismo di qualità non si improvvisa. Occorre formare tutti gli operatori economici verso l’eccellenza e questo ruolo di intermediario spetta alle Istituzioni, ricercando e importando le best practices nel mondo. E detto per inciso, è il contrario di quello che sta facendo in questi giorni il Governatore Rossi in Toscana che pare impegnato a per fare arrivare più voli low cost a Pisa.
Insomma le Istituzioni devono aiutare i soggetti a trovare propri percorsi formativi, devono sviluppare strumenti di incontro, reale, fra la domanda e l’offerta di lavoro e devono supportare il sistema su traiettorie tecnologiche ed economiche più innovative ed avanzate. Affinché il lavoro richiesto dalle imprese sia di maggiore qualità. Sono tre obiettivi importanti. E bisogna saperli impostare. E un ricambio dei manovratori, sia politico che tecnico, sarebbe salutare.
Marco
L’autrice dell’articolo c’entra perfettamente i problemi del mondo del lavoro. Aggiungerei un attore protagonista delle difficoltà del.mercato del lavoro ovvero scuola e università entrambe involute in traiettorie che non incontrano minimamente le richieste del mercato del lavoro.
Alessandro
Il suo articolo mi trova completamente daccordo!!!
Va ridisegnata una nuova storia per l’economia fiorentina e non solo.
Sono inoltre daccordo sul cambio dei manovratori anche perche’ quelli che oggi si proclamano moderati di sinistra niente hanno a che vedere con la visione migliorista del vecchio Pci e delle idee riformista di Amendola.