Ero a Roma, la mattina dell’8 marzo, per visitare la mostra su Raffaello alle Scuderie del Quirinale. All’ingresso, però, ci venne data la notizia che tutti i musei erano chiusi perché di notte era stato dichiarato il lockdown delle attività commerciali e imprenditoriali non indispensabli, delle scuole di ogni grado, delle università, dei teatri, dei cinema, delle istituzioni cuturali.
L’Italia si fermava, e sembrava arrendersi di fronte al nemico invisibile. In realtà c’era chi poi ha continuato a combattere quella guerra asimmetrica: in prima linea tutti gli operatori del sistema sanitario, della Protezione civile, delle Forze dell’ordine; dietro di loro, la filiera della produzione agricola e della distribuzione, i servizi pubblici, gli insegnanti con la didattica a distanza.
A partire da quel giorno e per tutto il periodo della clausura sono apparse molte bandiere tricolori sui balconi e le finestre, come se stessimo partecipando alle finali dei mondiali di calcio; e non era difficile sentire cantare l’inno di Mameli nei cortili condominiali.
Non c’è dubbio che proprio a causa dell’isolamento sia avvenuta una riscoperta del sentimento nazionale; al punto che le strade delle città si sono riempite di gente al passaggio delle Frecce tricolori per celebrare il 2 giugno, la festa della Repubblica.
Ora che l’emergenza è superata, sono stati riaperti i musei oltre che le attività
produttive e ricreative. La bellissima mostra su Raffaello sarà dunque visitabile fino ad agosto, anche grazie alla solidarietà dei più importanti musei europei che hanno prorogato il prestito delle opere dell’Urbinate concesse alle Scuderie del Quirinale.
La ripartenza dell’Italia non dipenderà soltanto dal Mes e dal Recovery fund. L’economia, per quanto indispensabile alla buona salute di una nazione, non è sufficiente a garantire la convivenza civile e il progresso.
La storia del Rinascimento ce lo insegna. Grandi imprenditori, banchieri illuminati, principi e papi di elevata cultura agirono in stretta collaborazione con artisti del calibro di Michelangelo, Leonardo e Raffaello. La bellezza e il genio artistico nutrirono e arricchirono quelle società; tanto quanto le manifatture di tessuti preziosi, le compagnie di navigazione e l’agricoltura di nicchia.
È un bene che il sentimento nazionale (che non è nazionalismo) sia ritornato in auge. La guerra civile combattuta tra il 1943 e il 1945 aveva segnato un solco, che per tutto il secolo scorso ha continuato a dividere gli italiani secondo schemi ideologici che ormai non hanno più ragione d’essere.
Ma ora è arrivato il momento di “stringersi a coorte”. Non per combattere guerre di espansione coloniale; né per difendersi dai presunti nemici d’oltralpe dei nostri giorni. Bisogna, invece, riaffermare la nostra identità richiamandoci alla tradizione culturale e imprenditoriale che ci ha fatto diventare un grande Paese; certamente il più ricco al mondo per patrimonio artistico.
È una difficile sfida quella che ci aspetta, e gli italiani sembrano pronti ad affrontarla: basta camminare per le strade dei centri storici e vedere come si stanno riorganizzando commercianti e ristoratori dopo i tre mesi di chiusura e le nuove norme di sicurezza.
La politica, soprattutto nella sua espressione di governo centrale, resta purtroppo ancora molto inadeguata. Se non avverrà un cambiamento nei prossimi mesi, che sappia dare risposte concrete alle esigenze delle famiglie, delle imprese e dei lavoratori, c’è il rischio che il rinato sentimento di unità nazionale si trasformi in rabbia e disperazione. E questa sarebbe davvero una tragedia per tutti.
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