Le ragioni che resistono a favore dell’Europa nonostante i difetti dell’Unione Europea
In un mondo con un altissimo grado di interdipendenza in tanti campi diversi, focalizzarsi (qualcuno direbbe fissarsi) sulla portata dell’esercizio della sovranità nazionale presenta chiari limiti. Per la maggior parte dei progressisti , ciò equivale al sostegno per un governo meno invasivo, con minori ambizioni. l’obiettivo esplicito di molti sostenitori della Brexit. Si scontra con l’emozione più potente della politica progressista che “un mondo migliore è possibile”.
Agli occhi della maggior parte dei progressisti pro-Europa, un’Europa migliore, un’Europa diversa rappresenta l’obiettivo per il quale sicuramente vale la pena di lottare. E anche l’Europa che abbiamo, nonostante tutti i suoi difetti e le sue divisioni, la sua lentezza e burocrazia, il divario tra vaghezza di ambizione retorica e risultati pratici sul campo, merita ancora di essere difesa. . In particolare, gli standard minimi fissati dall’UE impediscono “una corsa al ribasso” dalla quale i più vulnerabili perderebbero di più. Tali standard minimi vengono rafforzati nel tempo sia con modifiche legislative e sentenze della Corte a beneficio di tutti i cittadini europei sia attraverso la cooperazione reciproca in settori quali la ricerca, l’istruzione, la salute, le condizioni di lavoro e le norme ambientali. I sostenitori della Brexit denunciano questi processi come un “grimaldello antidemocratico “.
Un modo alternativo di consideralo è apprezzarlo come una lunga marcia per trasformare i valori europei condivisi in cambiamenti pratici che fanno davvero la differenza nella vita della gente comune.
Vale senz’altro la pena lottare per stabilire posizioni comuni europee sulla scena mondiale – dove è possibile raggiungere un accordo – sui cambiamenti climatici, lo sviluppo internazionale, le migrazioni e la difesa della democrazia e dei diritti umani. L’Unione europea trova spesso difficoltà a causa delle divisioni tra i suoi Stati membri, ma vale la pena fare uno sforzo per raggiungere il consenso e spesso ottenere risultati.
Covid non cambia questi argomenti a favore dell’Europa. Semmai, rafforza le ragioni di un’azione europea comune in materia di salute – un settore politico finora per la gran parte di competenza nazionale. Esiste tuttavia un’area in cui l’Unione europea ha un vero peso a livello internazionale: la regolamentazione del mercato unico e le sue relazioni commerciali con il resto del mondo, poiché i trattati istitutivi dell’UE conferiscono a Bruxelles competenza esclusiva nei settori della concorrenza, degli aiuti di Stato e della politica commerciale comune. E’ in questo spostamento della potenza economica dall’Atlantico al Pacifico che l’Unione europea, che rappresenta l’entità economica più ricca del mondo, può avere un’influenza reale, da usare per ottenere effetti reali. Covid renderà questa forza essenziale dell’Europa più rilevante, non meno.
Covid cambia radicalmente la natura delle principali argomentazioni economiche presentate a favore della Brexit. I sostenitori di una “rottura netta” con l’Europa hanno sempre sostenuto una rivoluzione nel modello di commercio internazionale della Gran Bretagna con il resto del mondo. Ma la loro scelta strategica “per il mare aperto” continente è valida per il Continente? Le ipotesi sulla globalizzazione e il libero scambio collegate alla loro visione sono valide nel mondo post Covid? Sebbene una certa deglobalizzazione possa essere benvenuta per conseguire una maggiore sicurezza dell’approvvigionamento di beni essenziali quali alimenti, prodotti farmaceutici e componenti vitali dei principali produttori, la deglobalizzazione non renderà una politica commerciale indipendente maggiormente in grado di produrre risultati positivi.
Prospettive di un accordo commerciale Gran Bretagna – Stati Uniti
Per i sostenitori della Brexit , un accordo commerciale del Regno Unito con gli Stati Uniti è parte fondamentale della loro visione post Brexit. Ma dovrebbero riconoscere che sarà un accordo commerciale che si farà in larga misura alle condizioni americane. La politica lo rende inevitabile. La crisi di Covid sta acuendo le tensioni geopolitiche con la Cina. Donald Trump incolpa la Cina – e la globalizzazione – per la distruzione dei posti di lavoro nelle attività manifatturiere statunitensi, dai cui occupati nelle elezioni presidenziali del 2016 sono venute le sue vittorie nei distretti della Pennsylvania, Michigan e Wisconsin, un tempo roccaforti democratiche, che lo hanno portato alla presidenza. Dalla sua elezione gli Stati Uniti e la Cina sono stati impegnati in una guerra tariffaria costante ma instabile nella quale le frontiere del conflitto si spostano continuamente avanti e indietro. Ora Trump sta addossando alla Cina la colpa per la diffusione del virus Covid e sta facendo del risentimento anti-cinese un elemento chiave della sua campagna per la rielezione. Se la Gran Bretagna si legherà a un accordo commerciale statunitense sotto Trump, questo rifletterà sostanzialmente la visione del mondo Trump.
Molto dipenderà dall’esito delle elezioni presidenziali di novembre. Si spera che una vittoria democratica con Joe Biden seppellisca per sempre il rancore nazionalista di Trump, ma difficilmente allenterà il protezionismo americano, che è diffuso tra i democratici al Congresso. Come ama spiegare Bill Clinton, la forza elettorale del protezionismo è molto più forte negli Stati che in Europa per la mancanza di una rete globale di welfare che assicuri sicurezza negli Stati Uniti.
Le condizioni per un accordo commerciale tra Regno Unito e Stati Uniti avranno un rilievo molto più alto nella politica degli Stati Uniti rispetto a quello che avrebbero normalmente in Gran Bretagna. Costruire un accordo commerciale tra Regno Unito e Stati Uniti, dove lo dovrà approvare una Camera controllata dai democratici, dove va considerata la presenza della forte lobby irlandese , non sarà una prospettiva facile o veloce, date le sensibilità circa la questione del confine irlandese.
A febbraio, il governo britannico ha fissato , con orgoglio, il proprio indirizzo per i negoziati commerciali tra Regno Unito e Stati Uniti, accompagnandolo con una valutazione economica dettagliata. Di per sé, questo è stata una buona cosa e di rilievo. Il governo ha rifiutato invece categoricamente di fare lo stesso per i negoziati Regno Unito-UE, anche se la quota degli scambi del Regno Unito con l’UE è circa tre volte maggiore di quella con gli Stati Uniti.
La valutazione economica è stata approfondita, ma i risultati che mostra sono estremamente modesti. Una intesa quale è ipotizzata nel Libro bianco del governo aggiungerebbe solo lo 0,18% al PIL del Regno Unito nel prossimo decennio, a fronte della perdita del 4-7% di un accordo di libero scambio (FTA) tra Regno Unito e UE, del tipo di quello sottoscritto con il Canada.
Quindi, perché il governo dà così tanta importanza alla prospettiva di questo modesto accordo commerciale con gli Stati Uniti? Il suo valore simbolico politico è cruciale per Johnson come segno del successo della Brexit nel riunire l’Anglosfera. Ma a parte questo, darà un contributo irrisorio alla ripresa economica britannica. Si potrebbe concludere che il governo non può – politicamente almeno in questa fase – esprimere la propria visione per un accordo più ambizioso con gli Stati Uniti perché ciò implicherebbe quel tipo di concessioni da parte del Regno Unito che il governo si è impegnato a non fare mai – ad esempio, lo spettro famigerato di polli sbiancati con cloro, prezzi dei farmaci più alti e maggiore apertura per le società farmaceutiche statunitensi al servizio sanitario nazionale (NHS)
Vedremo per quanto tempo reggerà questa volontà di proteggere il sistema sanitario nazionale e gli elevati standard dell’agricoltura del Regno Unito di fronte alla pressione politica di garantire un accordo più ambizioso con gli Stati Uniti.
In entrambi i casi, la visione dei sostenitori della Brexit non sembra affatto attraente.
La politica commerciale dell’UE negli anni a venire
L’Europa è anche alle prese con un difficile dibattito sulle sue relazioni con la Cina. L’UE è stata negli ultimi tre decenni uno dei primi portabandiera per le aperture alla Cina e, in tal modo, ha fissato il ritmo della globalizzazione. Ha realizzato questo sotto la guida di tre illustri commissari per il commercio – Leon Brittan, Pascal Lamy e Peter Mandelson – due dei quali britannici. Il fatto che gli Stati membri dell’UE fossero disposti ad accettare la leadership britannica in questo campo smentisce la tipica visione dei Brexiteer dell’UE come una sorta di racket protezionistico. Tuttavia, le relazioni con la Cina sono attualmente in fase di ripensamento , in parte a causa del ritiro del Regno Unito e in parte a causa dei crescenti sospetti verso la Cina.
La Cina non sta seguendo il percorso verso la progressiva liberalizzazione e democrazia che i decisori politici europei auspicavano , con ottimismo, quando hanno appoggiato convintamente l’adesione della Cina all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) . Negli ultimi tre decenni, l’Europa se l’è cavata bene con la Cina . L’opinione dei sostenitori della Brexit secondo la quale l’appartenenza all’Unione europea ha impedito alle imprese britanniche di sfruttare le opportunità in Cina è difficile da far tornare con il fatto che le esportazioni tedesche in Cina sono tre volte le nostre e quelle della Francia doppie. Ma mentre il business cinese risale lungo la catena del valore e i saldi commerciali cinesi hanno costruito il peso finanziario della Cina, le preoccupazioni in Europa sono cresciute per l’assenza di concorrenza leale con la Cina, a causa dei sussidi nascosti alle sue attività concessi dallo stato.
La Cina ha sta impiegando la sua nuova potenza finanziaria per acquisire società europee “strategiche”, costruire un quasi-impero in Africa e, attraverso l’iniziativa “Belt and Road”, conquistarsi amici in Europa orientale e in Italia. Di conseguenza, la Germania si sta ora spostando sul “territorio” francese chiedendo una politica industriale europea più forte per sostenere i “campioni” europei. La Commissione europea sta introducendo nuovi controlli sulle fusioni e acquisizioni effettuate dalla Cina. Le preoccupazioni per la sicurezza su alcuni tipi di investimenti cinesi in Europa sono in aumento. A maggior , alla luce di ciò, l’Europa deve ridefinire le sue relazioni commerciali con la Cina.
Questo accade nel momento nel quale Covid sta dando un forte impulso alla deglobalizzazione. In verità il mondo si sta muovendo nella direzione opposta all’ambizione della Brexit per una “Global Britain”. La strategia della Brexit del governo è progettata per un mondo di libero scambio in espansione nel quale la Gran Bretagna sarebbe un campione globale: una prospettiva che potrebbe rivelarsi molto solitaria e vulnerabile nel mondo post Covid.
Ancor prima di Covid, la strategia commerciale indipendente del governo si basava su ipotesi che la maggior parte degli esperti di commercio internazionale mettono in discussione : che una Gran Bretagna sovrana possa negoziare accordi di libero scambio vantaggiosi con altre nazioni capaci di più che compensare le perdite di accesso facilitato al mercato unico europeo che (il governo , a suo merito, ora riconosce) la Brexit comporterà.
Nel mondo post Covid, possiamo fare affidamento su una politica commerciale indipendente e sovrana che realizzi la promessa di accesso a nuovi mercati? L’Organizzazione mondiale del commercio prevede un drammatico declino del commercio globale, molto più profondo delle esperienze patite con la crisi finanziaria del 2008. Dove sono questi promettenti nuovi mercati? Perché il Giappone e la Corea, ad esempio, dovrebbero consentire a una Gran Bretagna sovrana ed indipendente un maggiore accesso ai loro mercati di quanto già godiamo in base agli accordi commerciali dell’UE con questi paesi? Questa ambizione della Brexit nel Regno Unito è realistica in un mondo in cui le tensioni commerciali con la Cina sono in aumento e la risposta degli Stati Uniti è “America First”?
Ripensare il rifiuto del mercato unico europeo da parte della Gran Bretagna come opzione credibile per la Brexit.
Nei tre decenni passati il mercato unico europeo è diventato il “mercato interno” del Regno Unito, ma la politica della Brexit sta cercando di alzare nuovi ostacoli al nostro commercio in questo mercato. L’argomento pro Brexit è che l’Europa è una regione del mondo in relativo declino, che l’Unione europea aggrava questo problema con l’eccessiva regolamentazione e il protezionismo e che una zona euro strutturalmente difettosa limita ulteriormente le possibilità di crescita. Ci sono elementi di verità in questi punti, ma nelle parole del vecchio adagio, non è meglio “aggrapparsi all’infermiera per paura di qualcosa di peggio”? Che senso può avere senso il ritiro del Regno Unito in un mondo post-globalizzato e de-globalizzante?
Il mercato unico rimane la pietra angolare dell’ordine giuridico dell’UE . Nella crisi del Covid, le reazioni di panico degli Stati membri hanno creato ostacoli al libero flusso di alcuni beni, ma alla fine l’ordine verrà ripristinato. A medio termine, è probabile che il mercato unico sarà maggiormente limitato da un nuovo scetticismo sull’affidabilità delle catene di fornitura internazionali e sull’eccessiva dipendenza dalla Cina per componenti e risorse chiave. Potremmo vedere ulteriori passi verso l’acquisto collettivo di materiali essenziali (da cui la Gran Bretagna si è finora esclusa), restrizioni su acquisizioni straniere di aziende europee strategiche, un atteggiamento più morbido verso le fusioni per creare “campioni europei” e un’azione più dura contro la posizione dominante dei giganti americani di Internet . Contemporaneamente, la Gran Bretagna si sta mettendo al di fuori di questa relativa oasi di sicurezza.
Con la prospettiva di una più forte integrazione economica europea, dove può andare un Regno Unito, il cui governo ha deciso, con propria scelta sovrana, di lasciare il mercato unico e l’unione doganale dell’UE? In particolare, questa non è stata una conseguenza inevitabile del voto sulla Brexit e non è qualcosa che i nostri partner dell’UE ci hanno richiesto di fare!
Lascia un commento