La pandemia che ci ha colpiti mi ricorda molto il racconto biblico dell’Arca, costruita da Noè su indicazione divina per salvare l’uomo e le diverse specie animali dal diluvio universale. E ricominciare altrove – e altrimenti… – facendo tesoro dell’esperienza.
Evitato l’irreparabile, la domanda è: come ricominciamo? come facciamo ripartire Firenze e le altre città d’arte? La risposta, a mio avviso, è escludendo gli estremi: no, quindi, all’industria turistica di massa che soffoca i centri storici ledendone l’identità, ma no anche a certe visioni elitarie, che li ridisegnano come salotti buoni aperti a un modello di residenza culturalmente e socialmente qualificata.
Prendendo il caso concreto della nostra Firenze, le cose da fare mi sembrano piuttosto chiare.
- Decongestionare il centro storico ripensando gli spazi urbani. La città metropolitana – oggi vuota categoria burocratica – dovrà essere ridefinita nei suoi confini e nella sua missione. Parlo di un territorio popolato da un milione circa di abitanti sul quale insistono più centri urbani, caratterizzati per funzione e capacità attrattive, riconoscibili dalla distanza grazie a nuovi edifici che ne modifichino lo skyline, ben collegati fra loro ma, allo stesso tempo, autonomi, indipendenti l’uno dall’altro.
- Favorire la trasformazione dell’industria turistica di massa verso un modello incentrato sui congressi internazionali, sui festival di musica come quello di Salisburgo e i grandi eventi culturali, sui musei dell’area vasta, con la creazione di moderni poli espositivi per la valorizzazione di ciò che oggi prende polvere nei sotterranei dei musei storici del centro. Di sbagli ne abbiamo già fatti abbastanza e penso in particolare alla costruzione del nuovo Archivio di Stato, con i suoi spazi già oggi insufficienti, ma anche all’occasione persa del Museo Zeffirelli, realizzato in pieno centro.
- Modificare gradualmente il nostro utilizzo del tempo, passando dalla logica delle otto ore a una distribuzione più ampia sull’arco della giornata, con aperture differenziate di uffici, negozi e servizi alla cittadinanza.
- Mettere a valore gli spazi aperti come Parco delle Cascine o i lungarni: l’uno e gli altri, oggi, sono mal tenuti e peggio frequentati e, il che significa pericolosi, specie da una certa ora in avanti.
- Potenziare la tramvia sfruttando i progressi tecnologici in campo di energia elettrica, intensificando le corse e completando il sistema a rete con la realizzazione del passante ferroviario e il conseguente declassamento della rete ferroviaria in superficie in rete extraurbana e regionale.
- Realizzare parcheggi scambiatori ai confini della città metropolitana e parcheggi per i residenti nei vari centri storici – siamo essi pertinenziali o a rotazione – liberando le strade dalle auto parcheggiate.
- Incentivare la riapertura dei cosiddetti negozi di vicinato, in alternativa alle grandi boutique di moda o ai soli ristoranti o, peggio ancora, alle rivendite di alcolici e fast food aperte 24 ore su 24.
Queste sette linee di azione basterebbero di per sé a riqualificare i centri urbani e ripopolare Firenze di fiorentini. A monte c’è però un quadro normativo farraginoso che va assolutamente snellito. La lista degli handicap è infinita: dalla parcellizzazione delle proprietà alla missione impossibile di restaurare gli appartamenti del centro storico preservandone gli elementi di pregio, ma potendo anche legittimamente ridistribuire gli spazi per renderli adeguati alle moderne esigenze dell’abitare.
La sola chance per trovare la quadratura del cerchio, mi viene da dire, è insinuarsi tra le pieghe oscure delle norme provando a interpretarle a proprio vantaggio. Non basta, naturalmente, perché chi ci riesce, per talento o per fortuna, deve superare altri scogli come le lungaggini della burocrazia, che dilatano all’infinito i tempi per ottenere i permessi.
Non è moltiplicando paletti e divieti che si favorisce la riqualificazione del centro storico! Occorre anzi semplificare il quadro normativo e velocizzare le pratiche autorizzative, accettando l’evidenza che un civile scambio di idee su ciò che si può e non si può fare tra il proprietario di casa, il progettista incaricato e gli uffici preposti non è affatto l’origine di chissà quale corruzione. Occorre piegare al buonsenso la gabbia normativa in cui ci siamo autoreclusi.
L’isolamento domestico a cui questa pandemia ci ha tutti costretti ha dimostrato quanto importanti siano gli spazi esterni per la qualità della vita. Perché, mi chiedo, terrazzi e balconi sono di fatto irrealizzabili nel centro storico? Non dico ovunque, certo, ma almeno nelle corti interne, che belle proprio non sono. Il recupero delle vecchie carceri delle Murate penso sia un esempio da replicare, con le sue terrazze di nuova concezione differenziate dal resto della struttura grazie all’utilizzo di materiali diversi.
Vietate anche le terrazze a tasca perché deturperebbero i tetti di Firenze, sostiene qualcuno. Mi permetto di dissentire, perché la bellezza dei tetti fiorentini sta anzi nel movimento creato dalle superfetazioni del passato.
Sugli ascensori, il discorso sarebbe lungo. Non è facile costruirli, nei vecchi palazzi del centro, non almeno in modo tradizionale. Ma ci sono soluzioni innovative che andrebbero almeno valutate, anziché bocciate a prescindere. Perché diciamocelo chiaro: nessuno tornerà a vivere nel centro storico senza negozi di vicinato, senza ascensori che permettano anche ai non più giovanissimi di portare su la spesa senza rischiare la salute, senza parcheggi per collocare l’auto e farsi magari due passi in sicurezza.
Ben vengano i servizi di bike e car sharing e ben vengano anche gli interventi per migliorare gli accessi pedonali al centro storico, come quello che riqualificherà l’edificio delle Poste del Michelucci tra Borgo La Croce e Borgo degli Albizi. Con le operazioni spot, però, si va poco lontano. Ciò che serve è visione, progettualità a lungo termine, è un piano strutturato e coraggioso che renda questa città un po’ meno ancorata al proprio passato e un po’ più contemporanea, più vivibile e più vissuta.
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