Grandi progetti europei, sostenibilità ambientale ed economica, bigdata e intelligenza artificiale, digital health, telemedicina e robotica, sono davvero tante le opportunità e le innovazioni che avrebbero dovuto caratterizzare l’anno 2020, spesso ribattezzato “ventiventi”. Le aspettative positive, trasversali in tanti settori, sono state deluse o modificate (in rari casi potenziate) dall’impatto imprevisto e inimmaginabile del virus Covid-19, meglio noto come Coronavirus. Formalmente è il 2019 l’anno collegato a questo virus, ma è nel 2020 che si è concretizzata la più importante pandemia della storia moderna.
Dopo le prime settimane di diffusione del virus in Cina, nessuno (o quasi) avrebbe previsto le drammatiche conseguenze che stiamo vivendo oggi, in primis per la salute delle persone, quindi per le strutture sanitarie in senso lato e infine per tutto il mondo di imprese e istituzioni.
È azzardato e imprudente fare previsioni a medio o lungo termine su quelle che saranno le ricadute sociali, economiche e politiche a livello locale e internazionale. Forse solo dopo la concreta possibilità di avere un vaccino collaudato e disponibile, si potranno fare ipotesi stabili e credibili, ma in ogni caso, la società globale si sarà nel frattempo modificata, delineando nuove abitudini, assetti ed equilibri (o squilibri).
Guardando al mondo del lavoro è evidente come il lock-down abbia imposto una condizione di paralisi a una percentuale elevatissima di aziende, soprattutto MPMI, con effetti devastanti su quelli che saranno i conti economici dell’anno, cui seguirà un’evidente crisi occupazionale, temporaneamente protetta dalla cassa integrazione. Vero è che alcune nicchie di mercato sono in crescita, come nel settore alimentari e GDO o nell’ambito ICT e telecomunicazioni, in parte nel mondo farmaceutico. Ma è un “segno più” ampiamente insufficiente rispetto a turismo e ristorazione, automotive e trasporti, moda, commercio al dettaglio, servizi e consulenza, edilizia e artigianato, mercati finanziari, che hanno subito un profondo rosso di almeno tre mesi.
La Fase 2, anche definita di “convivenza con il virus”, per alcune aziende o settori continuerà a essere proibitiva, per altri sarà occasione di ripresa o ripartenza, verso una nuova normalità, sempre che un possibile effetto yo-yo non riporti al blocco totale. Come in borsa potranno esserci rimbalzi e opportunità, che si realizzeranno da un lato semplicemente sfruttando i vuoti rimasti in questi mesi, dall’altro lato creando prodotti e servizi o modelli di lavoro che sono nati durante la crisi.
Innegabilmente la situazione di emergenza ha guidato, o meglio obbligato, grandi masse di persone a imparare cose nuove, nelle relazioni sociali, nei consumi, nel modo di informarsi e intrattenersi; infine, per chi ha potuto, anche a lavorare diversamente, attraverso lo smart working. Un’automatica necessità di formazione e alfabetizzazione informatica ha pervaso le famiglie italiane, che in poche settimane hanno introdotto l’uso quotidiano della videoconferenza, dell’e-commerce, dell’intrattenimento online, quindi di tecnologie e piattaforme che saranno certamente utili per l’immediato futuro.
L’auspicio è che la rinnovata competenza nella fruizione di strumenti IT costituisca un’azione diffusa di re-skill capace di colmare almeno parzialmente il gap tecnologico e il digital divide che caratterizzavano gran parte della popolazione e della società produttiva, con ricadute negative sul lavoro per il costo definito di ignoranza informatica. Non solo, l’utilizzo consapevole, efficace e diffuso delle ICT potrebbe consentire un nuovo inizio: il realizzarsi della società dell’informazione o società della conoscenza, un’occasione di crescita, democrazia culturale, in grado di fare evolvere la nostra economia verso sane forme di globalizzazione, equità sociale e sostenibilità.
Forse, l’automobile non è più il bene simbolo della civiltà occidentale, la sensibilità e il rispetto verso l’ambiente sono cresciuti, il desiderio di un’informazione imparziale e oggettiva si è diffuso, la classe politica potrebbe imparare nuove regole o modi di porsi verso i cittadini, perfino le istituzioni hanno dimostrato che l’impossibile era possibile, a Genova, con la ricostruzione del Ponte.
Forse, il Coronavirus ci ha fatto scoprire “La Civiltà dell’Empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi”: è il titolo di un saggio scritto da Jeremy Rifkin poco più di dieci anni orsono.
Un ricordo personale
A margine di queste considerazioni, mi è d’obbligo volgere un pensiero a Pietro Crovari, mancato a 88 anni nel marzo di quest’anno, Professore Emerito di Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Genova, medaglia al merito della sanità pubblica e per anni presidente della Società italiana di Igiene.
Un giorno di qualche anno fa, durante un pranzo nel nostro Rotary Club Genova Est, ho avuto il piacere di stare un po’ con lui a farmi raccontare… in quelle settimane era ormai chiaro che l’annunciato spavento per l’influenza suina H1N1 si era risolto, con meno conseguenze di quelle previste. Già alcuni gridavano allo scandalo inveendo contro i vaccini e le aziende farmaceutiche. Ovviamente non persi l’occasione per fare qualche domanda sull’argomento e chiedergli “Piero, allora, ma com’è questa storia della suina?”. E lui, impassibile, con un sorriso sarcastico: “Semplicemente, ci è andata bene!”.
Caro Piero… mi sa che avevi proprio ragione. Ti ricordo sempre, con amicizia e affetto.
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