Sindaco di Milano a cavallo degli anni ’80, più volte Ministro, Carlo Tognoli è stato uno dei più importanti dirigenti del PSI dell’era Craxi. Coinvolto nel tritacarne di “Mani pulite” ne uscì nel 1999 con tre assoluzioni. Ha avuto numerosi incarichi in società pubbliche e private. Svolge un’intensa attività pubblicistica.
Con l’elezione dei Consigli Regionali che si tenne il 7 ed 8 giugno 1970 le Regioni entrarono nelle storia istituzionale italiana, provvedendo subito alla propria fase costituente con l’approvazione degli Statuti. Sono passati 50 anni: tempi di bilanci: .
Quali le motivazioni delle forze politiche che votarono a favore? Quali le preoccupazioni? Ricordo il giudizio di Ugo La Malfa “ «Abbiamo approvato la legge che porterà l’Italia alla rovina»
L’attuazione delle regioni era un dovere costituzionale. Il ritardo nella approvazione della legge istitutiva fu la conseguenza della diffidenza della Democrazia Cristiana nei confronti dei partiti della sinistra, PCI e PSI che, contrari al regionalismo alla costituente, puntavano ad una rivincita dopo la sconfitta del Fronte Democratico Popolare del 18 aprile 1948. Si arrivò per la verità ad una proposta di legge (Scelba, 1953) che però rimase lettera morta. Il paradosso era che la DC, da sempre favorevole alle regioni (Sturzo, ancor prima del fascismo) tirò per le lunghe, mentre PCI e PSI spingevano per l’approvazione della riforma. Solo negli anni ’60 si ricominciò a parlare del tema, quando il PSI – dopo il XX Congresso del PCUS (rapporto Kruscev sui misfatti staliniani) e dopo l’invasione dell’Ungheria – puntò alla alleanza con i cattolici, il centro sinistra. Nel quadro programmatico di quell’accordo (Governo Fanfani con l’appoggio esterno del PSI) sottoscritto da DC, PSI, PSDI e PRI – era prevista l’approvazione delle regioni. Tuttavia altri provvedimenti ebbero la precedenza: la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la riforma per la scuola media unica, l’aumento delle pensioni. E così fu anche col governo Moro – Nenni, di centrosinistra con la partecipazione organica del PSI. Si arrivò alla legge istitutiva della regioni nel 1969, quando ormai il centro sinistra era in crisi.
La riforma regionale, che era stata impostata nel quadro della programmazione economica (fortemente voluta dal PSI) – passò a larga maggioranza con il voto contrario delle destre.
Originariamente le regioni avrebbero dovuto essere strumenti democratici di connessione tra lo Stato e le istituzioni locali, in vista della eliminazione delle prefetture, vissute come ‘longa manus’ del governo. Poiché le regioni avevano poteri legislativi in molte materie, la struttura amministrativa doveva essere ‘leggera’ e di qualità. Gli studi degli anni ’60 prevedevano personale limitato con molti dirigenti qualificati e pochi poteri gestionali. Le cose sono andate diversamente!
La regionalizzazione della sanità ha portato potere e risorse grandi alle regioni (la spesa per la sanità è l’80% dei bilanci): l’esperienza ad oggi cosa ci dice? E’ stato un boccone avvelenato che ha accentuato le differenze nella tutela della salute a livello territoriale? Ha indebolito il principio di solidarietà tra regioni in situazioni di emergenza come quella del tutela virus? Bisogna cambiare, ma come?
La regionalizzazione della sanità, prevista dalla legge istitutiva, fu attuata con l’obbiettivo di rendere quel servizio essenziale corrispondente alle esigenze del territorio e vicino ai cittadini, in particolare dopo l’approvazione del Servizio Sanitario Nazionale (1978). Quello che si è verificato successivamente è la conseguenza della mancanza di coordinamento da parte dei governi (salvo qualche eccezione: i ministri Sirchia e Veronesi) che si sono succeduti negli anni duemila. Anche le differenze tra regione e regione avrebbero potuto essere evitate se ci fosse stata una maggiore attenzione del governo. E non mi riferisco alla ‘pandemia’ che ci sta travolgendo, ma agli ultimi venti anni. Mi è venuto persino il sospetto che una certa ‘anarchia’ nel trattamento della salute dei cittadini fosse tollerata, se non voluta, per scaricare sulle regioni le eventuali insufficienze del servizio sanitario. La solidarietà deve essere promossa dal governo e non lasciata alle iniziative delle regioni, nelle quali prevalgono le ‘spinte’ localistiche. La sanità è regolata da una legge che si chiama ‘Servizio Sanitario Nazionale’. La sola definizione fa capire che il potere di intervento è del governo, che può introdurre nuove leggi, per la solidarietà, e stabilire priorità per la tutela della salute pubblica.
Il divario nord – sud si è accresciuto in questi anni: crescita debole al sud, più alta disoccupazione precarietà, ripresa dei flussi migratori più accentuati tra i laureati, sempre più aree sono sotto il controllo della criminalità organizzata: c’è un filo di speranza per una inversione di tendenza? La società civile può imporre una correzione di rotta oppure è una partita persa?
Il divario nord-sud è parte della storia d’Italia. Sembrava potesse essere in via di graduale superamento dopo la crisi degli anni ’70. Peraltro non va dimenticato che il ‘miracolo economico’ degli anni ’50 fu dovuto anche alla disponibilità di mano d’opera del ‘mezzogiorno’ sia a vantaggio delle imprese manufatturiere del Nord, sia delle iniziative imprenditoriali del Sud e di quelle dello stato (IRI, ENI). I flussi migratori dei laureati non sono una caratteristica esclusiva del Sud, ma anche di altre parti d’Italia, anche se con questa pandemia si ridurranno. Il problema dell’Italia meridionale è la carenza della imprese. Ci sono ottimi imprenditori, ma sono pochi rispetto alle necessità. Il nord è vissuto molto, negli ultimi vent’anni, di esportazione (molti territori stanno oggi pagando coi ‘contagi’ i loro contratti con l’estero) – il sud ha visto aumentare il turismo, ma solo in alcune regioni la nuova imprenditoria ha attecchito. Inoltre la politica ‘assistenzialista’ di molti governi dopo il duemila e quella dell’ultimo anno non ha certo favorito le iniziative imprenditoriali, artigianali o commerciali, nemmeno nel settore agricolo. Quanto alla criminalità organizzata purtroppo è presente in tutta Europa (e anche fuori). Gli strumenti giuridici per batterla ci sono, ma bisogna usarli con decisione e con rapidità. Nell’epoca dell’elettronica e della digitalità, non dovrebbe essere impossibile mettere alle corde mafia, n’drangheta e camorra. Bisogna usare il metodo ‘Falcone’: decisione, documentazione, senza esibizionismo.
Se a fine 2019 la discussione era centrata sul conflitto per la autonomia rafforzata si è passati oggi, in virtù del gravissimo impatto della pandemia, alla condanna senza appello delle regioni sic e simpliciter. le regioni possono ancora servire per rendere migliore l’Italia, per garantire il futuro dei suoi giovani? E se sì, quali nodi essenziali si devono affrontare?
Le regioni ci sono e vanno tenute. Bisogna organizzare meglio il rapporto governo nazionale – governi regionali, anche alla luce della pandemia. Personalmente non ero favorevole al rafforzamento dell’autonomia regionale’ e rimango di questa opinione. Le regioni hanno già molti poteri e non si vede la necessità di aggiungerne altri. Bisogna superare però le contrapposizioni pregiudiziali ‘di parte’. C’è una sfera di gestione del governo regionale che deve cercare l’accordo con il governo nazionale del Paese. E questo vale anche per il governo verso le regioni. Sono stato sindaco di Milano per oltre 10 anni, di cui 9 con una giunta di sinistra. Alla presidenza della Regione Lombardia c’erano i democristiani. Non abbiamo mai avuto scontri pregiudiziali: diversità di vedute, molte, ma mai contrapposizioni totali. C’era rispetto e comprensione, da entrambe le istituzioni, anche se con visioni politiche differenti. Ecco un tema: lavorare insieme per migliorare la funzionalità delle amministrazioni regionali, per fare tesoro degli insegnamenti del ‘corona-virus’ impostando un piano anti pandemia, sperando che non sia più necessario.
Daniela M
efficace, strategico . Sobrio ma determinato. Come Carlo Tognoli e’ da sempre Daniela Mainini