Eravamo quasi pronti a mandare l’uomo in villeggiatura su Marte (lo dice Mattia Feltri su La Stampa del 14 aprile 2020), a smettere di guidare l’automobile per farsi guidare da lei e tante altre belle cose ancora quando, forse un pipistrello macellato in un mercato di Wuhan (sono 8.658 Km. da casa mia) ha scatenato un putiferio mondiale … un pipistrello!!! E tutti chiusi in casa!
Poco o nulla cambierebbe se la causa fosse un’altra perché saremmo sempre di fronte al granellino di sabbia che, per quanto imponderabile, scardina il pianeta Terra, non a bombe atomiche.
Poi non ci siamo nemmeno abituati. Quando penso alla generazione di mio nonno che a cinquant’anni s’era fatta la Prima guerra mondiale, lui in trincea sul Carso, la Spagnola 600.000 morti solo in Italia, vent’anni di fascismo, la Seconda guerra mondiale … e noi che diamo di matto per non poter uscir di casa!
Inoltre, come non pensare che, se è accaduto una volta non possa riaccadere ancora e ancora, un po’ come la peste nei secoli scorsi, dall’ Atene di Pericle, che ci morì, alla Milano dei Promessi Sposi?
Certo ora non crediamo più di cavarcela con l’aceto ed i suffumigi, abbiamo la scienza, che, prima o poi, ci trarrà d’impaccio … ma solo fino alla prossima occasione.
Ormai si è stampato nelle menti di tutti, che quella catastrofe mondiale, evocata cento volte soprattutto nei film americani (ci sarà un motivo anche per questo) e sventata un minuto prima della fine del film dal gruppetto di eroi destinato a salvare il modo, può diventare in un amen la più cruda, vera, realtà.
Pare che gli uomini del ’600 vivessero con ansia l’idea che la Terra, anziché starsene al centro, ben incastrata e protetta da dieci sfere celesti, vagabondasse in un cielo infinitamente grande. Proprio come ci sentiamo noi ora all’idea che un essere infinitamente piccolo, fuori dal controllo umano (!!!), la miliardesima parte di una piuma svolazzante, che ne so, in Congo o a Copenaghen possa bloccare il pianeta e provocare una scia di migliaia di morti.
Eccoci: “Il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”.
Non siamo più nel ‘600, sappiamo che presto ne usciremo (ma anche loro ne uscivano), avremo il vaccino e allora giù pernacchie al Coronavirus … ma la prossima volta?
Questa imponderabilità del “seme” della catastrofe, le sue origini impalpabili, ingestibili, sentirsi sospesi in un numero sconfinato di possibilità negative, funeste e sconosciute, ma stracolme di morti vere… altro che andare al cinema a vedere Armagheddon!!!
Passeremo anche questa, ma dopo saremo diversi?
Cioè, per quanto possibile, avremo imparato la lezione?
Ho i miei dubbi.
Innanzitutto, qual è la lezione?
Il virus non conosce confini, non guarda alle nazionalità ai linguaggi, alle religioni, si attacca ai poveri come ai ricchi (che avranno sempre migliori possibilità di cura, va da sé), stravolge il senso del reale, crea situazioni del tutto paradossali, luoghi che da sempre abbiamo visto affollati, all’improvviso angosciosamente deserti, surreali, qualcuno ha detto metafisici.
Mi sono provato anche a ipotizzarne di comici: l’ironia è sacra.
Immaginiamo di voler rapinare una banca. Come fare?
Mi metto una mascherina, così passo inosservato (inosservato in banca con una maschera !!!), vo dal cassiere e gli dico: “Fuori i soldi o ti sparo un colpo di tosse in bocca”. Ecco, nel mondo intero oggi questo rapinatore avrebbe un discreto buon senso e non nel paese di Montecuccoli, ripeto, nel mondo intero. Siamo messi bene.
Il virus ha per orizzonte il mondo, ma l’uomo ha per orizzonte il mondo?
NO.
Tutte le volte che assistiamo ad una catastrofe naturale (diciamo, vecchia maniera): straripa un fiume, frana una montagna la chiamiamo “annunciata” e siamo sempre pronti a dire dopo, quello che avremmo dovuto fare prima, ma poi non lo facciamo né dopo, né mai.
La catastrofe cui stiamo assistendo in questi mesi sposta sul palcoscenico del “mondo”, quello che nelle sciagure tradizionali poteva essere un ambito regionale o al massimo nazionale.
Per porre rimedi veri dovremmo saper nuotare contro corrente, rinunciare a vantaggi immediati, proprio nel momento in cui ne avremmo più bisogno, fare investimenti che magari non rendono subito, anzi impongono nuovi sacrifici, ma che lentamente e in anni creano le condizioni perché il torrente non esca dagli argini, perché la montagna non frani.
Ma qualunque sistema economico aborre la lentezza.
E quando l’alveo del torrente è il pianeta?
A proposito della colata di fango che si riversò sul comune di Sarno leggo a pag. 41 di https://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/dossier_sarno_20_anni_dopo.pdf :
“Certo è che il tragico evento del maggio ‘98 poco insegnò ai cittadini della zona. Nella sola città di Sarno, nell’anno della frana, i cantieri abusivi scovati dai vigili urbani furono 74, tra opere completamente o parzialmente abusive e violazioni di sigilli. Così come negli anni immediatamente successivi, come se nulla fosse accaduto: nel 2003 i sequestri furono più di 400, l’anno successivo 300, nel 2008 se ne contavano altri 300”.
Se guardiamo alla sconfinata, ampia piattezza del modus operandi del virus e di contro alle differenze antropologiche, culturali, etniche, politiche, religiose per le quali gli uomini da sempre si affannano a far in modo che divengano muri e barriere per custodire e armare le differenze reciproche, dovremmo capire che siamo su due piani completamente diversi.
Da un lato un’astrattezza universale, oserei dire logico matematica, il virus, dall’altra Arlecchino, Pantalone, Pulcinella, noi.
MA
“Per noi la patria è l’umanità e quindi andiamo dov’è necessario andare”,
pare abbia detto il Dr. Perez Diaz capo dei medici cubani giunti in Italia.
Ecco, finché questo non sarà divenuto il comune sentire e operare di tutti, combatteremo con armi spuntate.
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