Richard Florida è uno dei sociologhi urbanisti attualmente più famosi. Ha scritto, proprio in questi giorni, funestati dalla grande Pandemia da Coronavirus, un interessate articolo su “Brookings” intitolato “How our cities can reopen after the Covid-19 pandemic”.
Entriamo nello specifico. Ma prima diciamo una cosa importante: Florida cerca di fare, a differenza dei nostri intellettuali e politici nostrani, un’operazione verità. Dice cosa sarà la vita degli “uomini delle città” nei prossimi 18-24 mesi. Non edulcora il racconto, mettendolo sotto una cappa di fumo generata dal rassicurante “ritorno alla normalità”. Che è invece tipico della comunicazione nostrana che si chiede con ansia se tale ritorno sarà prima o dopo Pasqua. E si pone oggi i problemi che si incontreranno domani nella convivenza urbana. Verità e prevenzione: due dei principali strumenti mancanti nella discussione della nostra comunità nazionale.
La premessa è che, fino a che non ci saranno vaccini o cure adeguate e risolutive della malattia, le comunità dovranno continuare a vivere distanziate. E dovranno continuare a fare una vita sapendo che il virus è tra noi.
Florida passa in rassegna dieci luoghi o situazioni che dovranno per forza cambiare rispetto al normale e tradizionale funzionamento.
Si parte dagli aeroporti. Non si può smettere di volare. E di collegarsi fra le diverse città del mondo. Ma gli aerei e gli aeroporti dovranno essere meno affollati. E prevedere posti distanziati, arrivi distanziati e attese distanziate. E, e questo varrà in tutte le altre situazioni, un controllo continuo della temperatura dei passeggeri per isolare, se possibile, qualsiasi possibile focolaio di infezione.
E da lì il discorso si amplia a tutte le altre situazioni dai mezzi di trasporto, alle infrastrutture, alle strade, alle stazioni, alle pensiline etc. Insomma gli spostamenti dovranno riprendere ma dovranno essere organizzati senza il tipico affollamento. Per favorire questo “disaffollamento” dovranno essere organizzate, rafforzandole, le tecnologie on line sia nell’ambito del lavoro (smart working) che in quello del consumo di beni, di cultura e di spettacolo. Gli stadi, solo per fare un esempio o i teatri dovranno dare rappresentazioni ad un numero minore di spettatori dal vivo, debitamente distanziati, e allargare ancora di più le possibilità di godimento on line.
È facile che lo sviluppo dell’e-commerce vedrà un forte impulso creando problemi di allargamento e potenziamento delle piattaforme logistiche di stoccaggio e le flotte di distribuzione a tutti i livelli fino ad arrivare all’ultimo miglio della residenza del consumatore.
Anche musei e luoghi di cultura dovranno puntare sulla rarefazione delle presenze dal vivo. Le città d’arte e le città turistiche più in generale vedranno una forte contrazione delle presenze e dovranno cercare di mantenere un livello di godimento dei beni culturali, delle risorse ambientali e dei servizi tenendo conto di questo nuovo vincolo del distanziamento.
Una forte crisi sarà innegabilmente vissuta dai negozi e ritrovi da strada: bar, ristoranti, negozi di vicinato e così via. Qui la crisi sarà difficilmente evitabile e contenibile. Dovranno essere condotte politiche di mantenimento attraverso sussidi e incentivi ma è chiaro che non potrà essere evitato un diradamento delle presenze. Quindi con un effetto città diverso da quello che abbiamo vissuto, specialmente nelle città europee ad alto tasso turistico, negli anni precedenti l’epidemia.
Ed infine un accenno alle necessità sociali della nuova città: la prima è quella di non abbandonare le aree territoriali e sociali più svantaggiate. Nella città nuova, diradata e tecnologizzata, la parte più debole della città potrebbe essere tagliata fuori dalla nuova vitalità urbana.
La seconda è quella di rivalutare, anche economicamente, i lavori, più umili e meno professionalizzati, ma che stanno nel fronte delle relazioni. I guidatori di mezzi pubblici, le cassiere, i portatori di cibo e di pacchi, insomma tutte quelle figure, spesso precarie o mal pagate, che sopporteranno le relazioni umane senza potersi sempre proteggere nel modo migliore e più adatto alle circostanze. Si tratta di pagare di più e con contratti meno precari questo tipo di lavoratori che saranno centrali nel far funzionare la città distanziata. Certi servizi e beni costeranno di più. Ma è giusto che il rischio e il disagio vengano pagati di più.
Insomma l’articolo di Florida non è approfondito e articolato nelle diverse e specifiche esigenze di trasformazione. Ma dà alcuni tratti da seguire per impostare la città dei prossimi due anni. Si tratta, da parte della politica nazionale e ancor di più locale di prendere questi tratti e farli diventare un nuovo piano urbano per la città per i prossimi due anni. Dopo i due anni è difficile capire cosa succederà. Molte cose non torneranno. Altre ritorneranno come prima. Ma come dovrebbe sempre succedere meglio mettere la volontà e la previsione dell’uomo nei processi di trasformazione in atto per non doversi trovare solo a subirli. Con tutti gli elementi di maggiore criticità che derivano dal subire completamente un processo piuttosto che contribuire in qualche modo a indirizzarlo.
E comunque, l’importanza di un articolo come questo, è quello di dire agli italiani: il percorso per il ritorno alla normalità sarà lungo e difficile. Altre prove dovranno essere superate. Certo non dobbiamo vivere tutto quello che ci aspetta come “un girone infernale”, cogliamone anche gli elementi di positività, ma guai a disconoscere la verità. Il ritorno alla normalità non è dietro l’angolo. E questa del coronavirus, se è una guerra, non verrà chiusa dopo l’esito, che speriamo sia vincente e con poche perdite, della prima battaglia.
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