Proviamo a fare chiarezza su cosa sta succedendo all’economia italiana con la crisi da coronavirus e a fare luce sugli strumenti che in questi giorni, il Governo nazionale e per fortuna anche le Istituzioni europee per questa volta in sintonia, stano approntando.
La comunità italiana si ferma e in egual modo, pur con sfasamenti temporali, si fermano le comunità di tutti i grandi paesi del mondo. E se una comunità si ferma emergono criticità economiche sia dal lato dell’offerta (non si produce più) sia dal lato della domanda (non si consuma più e quindi viene a mancare la spinta a produrre).
In questa duplice morsa l’economia viene strangolata. Ed è quello che sta accadendo all’Italia. Salvo pochi comparti, fra cui quello alimentare e farmaceutico che possono soffrire sul tempo più lungo solo di una eventuale criticità della filiera produttiva, il complesso produttivo del paese è fermo.
Quanto sarà il danno? Difficile a dirsi in un momento in cui non si vede la luce del tunnel. Secondo alcuni studi inglesi la strategia dell’abbattimento dell’epidemia attraverso la chiusura dei contatti sociali dovrebbe durare almeno cinque mesi. Siamo soltanto al primo. Con una perdita di 30 mld al mese (un quinto della media produttiva del paese) si arriva a 150 mld di danno complessivo. Dal momento che la crescita dell’Italia se ne stava ferma sullo zero, questo significherebbe in base annuale l’8,3% del pil.
Ieri Tito Boeri parlava di una previsione di possibile decelerazione del 5,0%. I valori sono quelli. Una botta senza precedenti. La cosa principale su cui dobbiamo impegnarci già fin da ora, oltre ovviamente a governare la crisi sanitaria, è quella di cercare di riportare l’economia nel dopo crisi almeno al livello di quantità e di qualità in cui se ne stava prima della crisi. Poi, sempre partendo da oggi, di cercare di immettere nel sistema quegli elementi di innovazione capaci di far andare il sistema oltre la sua “naturale” traiettoria. Che era, come più volte abbiamo rilevato anche prima della crisi da coronavirus, completamente insoddisfacente.
La strategia di attacco dovrebbe puntare su quattro elementi.
Il primo è di natura “reddituale”: nessun lavoratore, e non si intende riferirci solo ai lavoratori dipendenti, deve avere in questo anno una perdita di reddito. E quindi cassa integrazione per i dipendenti e “sussidio” per quelli autonomi. Sul lavoro dipendente le misure del Governo sembrano adeguate.
Sul lavoro autonomo non ci siamo. La cifra prevista è esigua, al di sotto del reddito di cittadinanza, e data un po’ così a caso. Un “elicopter money” alla buona. Ed invece occorrerebbe un intervento più mirato. Per esempio prendere la denuncia dei redditi di ogni singolo lavoratore e dividere il reddito medio mensile raggiunto nell’anno precedente. Quindi pagare fin da subito, sulla base di una sola semplice istanza di adesione allo strumento, quella quota fino ad un certo valore massimo (che potrebbe arrivare a 1500 euro nette). Nella prossima denuncia dei redditi il soggetto dovrebbe restituire proquota la parte eccedente se la perdita prevista non si realizzasse.
Il secondo è un intervento sulla “liquidità”. E’ difficile far capire ai profani la differenza fra intervento reddituale ed intervento di liquidità. Tanto che girano sui social i confronti internazionali sui 550 mld messi dalla Germania e i 25 mld messi dall’Italia. Sono cose diverse e come tali vanno valutate.
Bene, sulla liquidità mi sembra che gli interventi del Governo e della Ue siano più che sufficienti. Continua il quantitative easing con 129 mld al mese di disponibilità (un vero e proprio bazooka) per mantenere basso lo spread dei titoli pubblici dei paesi in difficoltà, alle Banche vengono concessi crediti al -0,25% per proprie necessità e al -0,75% per i prestiti ai soggetti economici.
E a questo si aggiungono i singoli interventi del governo per ritardare il pagamento da parte degli autonomi di canoni, imposte e contributi. Insomma sembra che la lezione della crisi del 2008 sia stata compresa. E che, anche per una presenza di Banche in minore sofferenza strutturale, non dovrebbe mancare liquidità al sistema nel momento di una tanto attesa ripresa delle attività.
Il terzo elemento è il rilancio della crescita attraverso un forte e duraturo piano di investimenti. Più volte abbiamo sottolineato che all’Italia mancano, sia come strumento di infrastrutturazione che come impulso all’economia, sui 15 miliardi all’anno di investimenti. Questa è l’occasione giusta per avere questo rilancio. Quindici miliardi per l’Italia per dieci anni e 150 miliardi l’anno per l’Europa. Un piano da 1500 miliardi in 10 anni finanziato con eurobond a bassissimo interesse per il recupero ambientale dell’Europa (il green new deal) e per il rilancio di investimenti nell’infrastrutturazione nel campo della mobilità e nella gestione delle merci, delle persone e dei dati.
Il quarto elemento è l’innovazione e il rafforzamento organizzativo, tecnologico e delle competenze del sistema delle imprese italiane. Se vogliamo uscire dalla traiettoria dello zero percento dobbiamo puntare sulle migliori energie del paese. Quindi va bene fare una politica di sostegno “per tutti” ma l’innovazione richiede politiche di “selezione e sostegno” dei migliori.
Le imprese e le professionalità più capaci vanno incentivate a migliorarsi sempre di più, va sostenuta la ricerca scientifica e tecnologica e le sue applicazioni, la ricerca di soluzioni innovative sui materiali, sulla organizzazione, sui prodotti, sui mercati e vanno supportati i processi formativi dentro e fuori delle aziende con l’ingresso di figure di alta istruzione dentro le aziende. Insomma un progetto per la qualità e l’innovazione del nostro sistema produttivo. La pubblica amministrazione non deve starsene fuori da questo processo. Basta con le riforme della PA che si occupano del nulla.
Ho tralasciato ovviamente il tema dell’emergenza sanitaria. E del bisogno di rafforzare da subito il sistema sanitario e la filiera tecnologica e produttiva che lo sostiene. Cercando anche di recuperare la strategicità della presenza produttiva interna di tutto ciò che si lega alla salute dei cittadini.
E’ un tema che si sta affrontando ora e che può essere sostenuto in maniera significativa da quei rescuebond (chiamati da alcuni coronavirus bond) la cui realizzazione sta diventando più che una promessa all’interno delle istituzioni europee. E’ ovvio che il sostegno ai sistemi sanitari, qui e subito,è la condizione necessaria per poter parlare poi di rilancio dell’economia e di ripresa delle normali attività quotidiane.
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