Come ha ben descritto il prof. Alessandro Petretto nel suo articolo, i dati 2019/2020 e le previsioni per i prossimi anni non sono buone. La Toscana sta sempre più diventando la migliore regione del Sud, dopo essere stata a lungo la peggiore del Nord. Uno scivolamento che va contrastato in tutti i modi, con tutti gli strumenti possibili di politica regionale (e nazionale).
Una analisi “spietata” dei fondamentali economici della Toscana non è un modo per essere pessimisti, lamentarsi e indurre scoraggiamento: è il presupposto per decidere le politiche che davvero rilancino la crescita regionale, andando ad affrontare le vere aree di crisi e sostenendo le vere aree di innovazione e sviluppo.
La Toscana negli ultimi anni (2008-2019) ha visto indeboliti tutti i fattori produttivi: lavoro, capitale, infrastrutture. Siamo in un percorso di declino e la prospettiva è quella della stagnazione nei prossimi anni.
Iniziamo dall’occupazione: le ore lavorate si sono ridotte dal 2008 del 3,6%. La disoccupazione giovanile è al 18% e non si è ancora recuperato il dato del 2008. Il monte salariale è aumentato (+3,4%) ma perché sono aumentati i lavoratori, non perché sono cresciuti i salari individuali (solo lo 0,3%). Gli occupati sono aumentati (+36.000 sul 2008) ma soprattutto grazie ai lavori “non standard” (internale, part time, a tempo, sottopagato, contratti atipici). L’occupazione cresce più della produttività, quindi, qualcuno si impoverisce.
Capitale e ricchezza: si sono ridotti tutti gli investimenti pubblici e privati (-20%) addirittura con una flessione nel 2019: l’impresa in Toscana non rinnova i suoi impianti, l’innovazione tecnologica stenta a decollare in forma sistematica, le infrastrutture pubbliche sono ferme. Il PIL regionale è ancora sotto di 4 punti rispetto al 2008 (-18% se si considera la crescita attesa come negli anni precedenti), siamo tornati al PIL del 1999.
La produttività è ferma da 25 anni ed era già bassa allora. Siamo passati dalle svalutazioni competitive prima dell’euro alla svalutazione del lavoro e a salari più bassi. Non abbiamo utilizzato la grande rivoluzione tecnologica di questi ultimi 15 anni per migliorare la produttività.
La prospettiva è magra: le stime parlano chiaro. La stagnazione durerà per i prossimi 3 anni: PIL regionale +0,4 nel 2020, +0,7/0,8 nel 2021/22. La capacità potenziale di crescita è bassa nella nostra regione (potrebbe valere solo lo 0,5% in più): si riduce lo stock di capitale ed invecchia. Il lavoro si mantiene ma si impoverisce.
Nel 2019 il PIL Toscano è cresciuto dello 0,3%, in linea con la media nazionale (+0,2%), con un nord a +0,4%.
Tutti i fenomeni si sono polarizzati: aree forti (area metropolitana fiorentina) e aree deboli (costa, sud), settori forti (industria hi-tech/settori tradizionali), turismo (centri storici/ turismo del mare,) lavoro (tutelato/lavoro precario). Non ha più molto senso guardare i dati “medi aggregati” della Toscana, perché non ci dicono nulla sulla realtà economica profonda.
Un quadro preoccupante, se si considera poi che la Toscana è uno dei “marchi” più attraenti e conosciuti nel Mondo, ed attrarre investimenti dovrebbe essere facile .
Molte le leve su cui lavorare, tutte indicate nell’articolo del prof Petretto: politiche industriali, capitalizzazione delle imprese medio piccole, innovazione e industri 4.0, riforme istituzionali, ma anche il settore dei servizi pubblici locali (spl).
Perché quest’ultimo è cosi importante? Per tanti motivi.
Il settore dei spl fattura 4 miliardi di euro, con dati in crescita costante, bilanci in ordine, aziende grandi e patrimonializzate, 20.000 dipendenti (tutti stabili) e 600 milioni di investimento l’anno (in crescita). Un centinaio di imprese che potrebbero fare molto di più. Una politica industriale chiara e forte potrebbe raddoppiare gli investimenti nei prossimi 5 anni, e aumentare di qualche migliaio i posti di lavoro (qualificati e stabili). Esattamente quello che l’economia toscana in media sembra non sappia fare: investire e generare lavoro di qualità. Basterebbe questo.
Quale altro settore industriale può farlo e con tempi così rapidi?
Le attività di queste imprese hanno tutte più o meno a che fare con l’economia verde e circolare, il Green New Deal, la rivoluzione digitale. Nel servizio idrico si deve continuare nell’opera di ammodernamento della rete e degli impianti e recuperare le perdite di rete affrontando i temi del cambiamento climatico e del riciclo dell’acqua depurata. Nella gestione dei rifiuti si devono raggiungere gli obiettivi europei di riciclaggio e riduzione della discarica, facendo impianti, rafforzando le filiere, cambiando il modo di produrre. Nel settore energetico si devono potenziare fonti rinnovabili ed efficienza energetica. Nel settore dei trasporti va fatta la rivoluzione della mobilità sostenibile, cambiando bus e treni, diffondendo le auto elettriche, lo smart parking, la sharing mobility. Nell’edilizia residenziale occorrono 25.000 nuovi alloggi (ad emissioni zero) per dare risposta al disagio abitativo. Le aziende della ristorazione scolastica sono chiamate a produrre a filiera corta, favorendo la crescita dell’agricoltura locale.
L’indotto di questo comparto è gigantesco e prevalentemente locale. Una forte spinta di innovazione, industria 4.0 e soluzioni smart in questi settori potrebbe avere ricadute importanti poi nell’hi tech e nelle start up regionali. Esattamente quello che l’economia media regionale sembra di non saper fare: essere innovativa, verde, smart, socialmente inclusiva.
Perché allora non si punta a rafforzare questo settore? Perché non si definisce una politica industriale chiara?
Il sistema è stato per troppo tempo visto come un’area di rendita, a controllo politico, da ricondurre al sistema della pubblica amministrazione (errore commesso anche dal recente decreto Madia). E’ stato un grande errore. Il settore tutto è pronto ad un grande balzo, ed è uno degli attori più forti nel panorama industriale regionale per poter concretamente uscire dalla stagnazione e rilanciare la crescita, l’innovazione, l’occupazione. Il prossimo Governo regionale ha in mano una leva forte: un gigantesco piano di investimenti green, smart e social, da attuare in 5 anni. Una politica con il doppio dividendo: si ottengono risultati economici insieme a risultati ambientali, energetici, sociali. Sarebbe assurdo non cogliere questa opportunità.
Cosa serve per farlo? Prima di tutto un indirizzo politico di Governo regionale chiaro, una scelta di potenziare e rafforzare questo settore estraendo da questo tutte le potenzialità. Un tavolo permanente di confronto per costruire il piano degli investimenti e monitorarlo ogni anno. Serve orientare una parte delle risorse pubbliche: il fondo per le opere idriche, il piano casa, gli incentivi al riciclaggio. Occorre sfruttare i prossimi Fondi Strutturali europei 2021 -27 in questi settori che garantiscono con le loro imprese solide e sane la realizzazione dei progetti: contrasto ai cambiamenti climatici, mobilità sostenibile, economia circolare, welfare innovativo. Occorre una regolazione mirata che spinga gli investimenti. Occorre semplificare e sburocratizzare la realizzazione di opere ed impianti. Tutte cose fattibili nei prossimi 5/10 anni.
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