- Il contesto economico attuale, tra ciclo e lungo periodo
Alla fine del 2016 la Toscana era definitivamente fuori dalla Grande recessione, durata quasi otto anni, con rilevanti perdite di valore aggiunto, di capitale produttivo e di occupazione. Le aree più forti della regione, concentrate in quella fiorentina e nel corridoio del Valdarno, avevano recuperato i livelli di attività economica precedenti la crisi, mentre le aree più deboli del sud e della costa ancora faticavano nel recupero. Ad ogni modo, la ripresa, con un tasso reale di crescita intorno all’1,5%, qualora fosse stato confermato negli anni successivi, avrebbe consentito un recupero significativo dell’occupazione, pur con una riduzione meno evidente del tasso di disoccupazione, per il rientro nel mercato del lavoro dei così detti lavoratori scoraggiati. La domanda interna sembrava sostenuta dai consumi interni e dal turismo, ma anche da una ripresa degli investimenti. Questi andamenti ponevano la prospettiva della Toscana in una posizione relativamente migliore della media del paese, anche se, così come per l’Italia, con una crescita non proprio esaltante e certamente inferiore a quella prevista da altri partner europei. Il fatto è che, la Toscana, regione emblematica del paese, riproduceva, alla fine dello shock della Grande recessione, gli stessi problemi strutturali che gravavano prima della crisi, e che risalgano almeno alla metà degli anni ’90 del secolo scorso. Tra le criticità più evidenti: una crescita asfittica della produttività del lavoro e totale dei fattori, significative diseguaglianze territoriale degli assetti produttivi, scarsi livelli degli investimenti in innovazione, un contesto imprenditoriale indebolito da carenze istituzionali e della pubblica amministrazione. Ma con l’inizio della fase favorevole del ciclo si pensava di poter allargare via via questi colli di bottiglia e garantire una crescita potenziale un po’ più robusta.
Invece, alla fine del 2017, appariva evidente come il ciclo si apprestasse ancora una volta a invertire l’andamento, anche se non con la veemenza degli anni della Grande recessione. Il quadro internazionale ha subito una progressiva evoluzione in pochi mesi, portando ad una correzione delle stime di crescita per l’Italia e per la regione Toscana. Nell’estate del 2018, secondo stime dell’Istituto regionale della programmazione economica toscana (IRPET), si prevedeva una crescita dell’economia toscana di circa 1,2 punti percentuali di PIL. Già dopo i mesi estivi si è arrivati ad una prima correzione delle stime, con un PIL toscano in crescita ad ottobre attorno allo 0,9%. I primi mesi del 2019 hanno ulteriormente ridimensionato il dato previsivo. A gennaio la stima si era infatti ridotta per attestarsi ad un modesto +0,6% (in linea con il dato nazionale previsto dal Fondo Monetario Internazionale), per poi arrivare a marzo ad un ulteriore assottigliamento della dinamica. Secondo alcune istituzioni e centri di ricerca nazionali e internazionali, l’Italia sostanzialmente non crescerà nel 2019: le stime più recenti indicano ancora un segno positivo ma di entità assai ridotta. In questo processo di ridimensionamento delle prospettive a breve è stata coinvolta anche la Toscana che, secondo lo scenario attuale per il 2019, non andrà oltre una crescita dello 0,3%.
I maggiori motivi di questo rallentamento sono da rintracciare in una decelerazione delle principali economie europee, in particolare della Germania, non del tutto inattesa ma di sorprendente intensità, che si ripercuoterà sulle imprese italiane, tradizionalmente molto esposte verso quel mercato. Secondo le ultime indicazioni dell’ISTAT, in media, nel corso del 2018 le esportazioni italiane verso la Germania hanno rappresentato il 13% del totale venduto all’estero. La Toscana ha un profilo simile anche se con una importanza di quel mercato meno pronunciata rispetto alla media delle altre regioni italiane (le esportazioni verso il mercato tedesco rappresentano il 9% del totale). Più in generale, essendo tutta l’Europa a subire una frenata, anche se con accenti diversi da paese a paese, è bene ricordare che il complesso degli scambi intra-EU sono per la nostra regione circa il 46% di tutte le esportazioni (in Italia il 57%). Il 2018 ci consegna dunque una debole crescita delle esportazioni della Toscana (+2,3%) rispetto ai brillanti risultati conseguiti nel 2017. La dinamica è stata meno positiva della media italiana (+3,7%) e delle altre regioni aperte al commercio internazionale: Lombardia (+6,1%), Emilia-Romagna (+5,9%) e Veneto (+3,3%).
Il modesto risultato complessivo, atteso per il 2019, verrà confermato anche nel 2020-2021: secondo stime da più parti formulate, l’Italia non supererà una crescita dello 0,4% neppure nel prossimo anno e nei successivi dodici mesi la crescita non dovrebbe superare lo 0,7%. La Toscana farebbe solo leggermente meglio, con un incremento di PIL dello 0,5% nel 2020 e dello 0,9% nel 2021. La dinamica prevista nello scenario programmatico, che tiene conto dell’impatto della manovra di bilancio varata a fine 2018, non va dunque oltre un percorso di deludente stagnazione.
La manovra di bilancio del 2018 (sostanzialmente il Reddito di cittadinanza e Quota 100), stando alle stime IRPET, non produrrebbe un vero impatto positivo in termini di crescita del PIL, né per il 2019 né nel medio periodo, per gli anni 2020-2021. L’impatto in termini differenziali tra lo scenario tendenziale e quello programmatico è pari a 0,2 punti percentuali di PIL nel primo anno, 0,3 nel secondo e 0,1 nel terzo anno. Una parte delle risorse aggiuntive immesse nel sistema economico attraverso la manovra, rivolta essenzialmente ad incentivare i consumi, non produrranno effetti poiché saranno disperse attraverso l’attivazione di maggiori importazioni. Nel caso della Toscana, la misura della dispersione all’esterno dei confini regionali dovuta all’incremento di importazioni nette (includendo quindi anche i flussi commerciali interregionali) è pari a circa 150 milioni di euro nel primo anno per poi salire a 300 milioni di euro negli anni successivi. Particolarmente deludente è l’effetto della manovra sugli investimenti produttivi in Toscana: -0,7% nel 2019 e 2020, e +0,1% nel 2021.
In conclusione, scenari internazionali non favorevoli, una politica nazionale poco growth oriented e poco incline al rafforzamento dei distretti industriali, una pronunciata instabilità da rischio sovrano, uno stallo degli investimenti pubblici, di tipo strutturale, in quanto non determinato da carenze di risorse, ormai sostanzialmente liberate per gli enti locali, ci consegnano una preoccupante battuta di arresto della crescita potenziale della regione, con cadute di fiducia da parte di consumatori e imprese. Non sarà facile, ancora una volta, riprendere un cammino spedito! Il fatto è che, come detto, questa crescita debole vi era in Italia anche alla vigilia dello shock del 2008. Il paese già conosceva un problema di lungo periodo connesso alla produttività stagnante dei fattori produttivi, e alla scarsa innovazione del settore manifatturiero. A partire dalla grande stagione dell’entrata nell’Eurozona, dal 2000 al 2008, è stato un susseguirsi di occasioni mancate. Malgrado un quadro internazionale favorevole, l’Italia non ha proseguito nella politica delle riforme e soprattutto non ha, come altri paesi europei, affrontato con decisione il problema del debito pubblico. Istituzioni imperfette e non al passo coi tempi -dal corto circuito Parlamento-Governo, alla frammentazione degli enti locali, alla debolezza dell’istituto regionale, alla persistenza di organi costituzionali pletorici – un ritorno ad una visione stato-centrica in economia e un sistema finanziario e bancario che ha conosciuto una crisi profonda nello stesso tempo di affidabilità e scarso sostegno all’attività economica hanno fatto il resto. La Toscana non poteva che riprodurre questo scenario di crescita debole e intermittente.
2. Alcuni elementi per una politica economica per la prossima legislatura regionale
Anche prendendo atto che siamo in un contesto globale dove saranno le grandi politiche a livello continentale, e in linea subordinata a livello nazionale, ad avere gli effetti macroeconomici più evidenti, cosa possiamo fare, in Toscana, per sollecitare una crescita potenziale adeguata a più elevati livelli di occupazione e di benessere? Indichiamo le seguenti linee di indirizzo che riteniamo prioritarie e sulle quali è opportuno un approfondimento.
- In primo luogo, occorre, adattare la struttura distrettuale della nostra manifattura all’evoluzione dell’economia digitale, la così detta industria 4.0. Si tratta di rafforzare nelle imprese distrettuali le loro capacità di fare smart manufacturing, cioè produrre in piccole serie e con prodotti realizzati su misura del cliente e di gestire in modo più efficiente i tradizionali e fitti rapporti di filiera tra tante Pmi. Ma l’Industria 4.0, fortemente sostenuta dagli interventi governativi di sostegno, richiede sempre più lavoratori con formazione universitaria, più capacità di investire in Ricerca e Sviluppo e produrre innovazioni, maggiore offerta di servizi a elevato valore aggiunto per le imprese. Non si può quindi prescindere da una più ampia apertura dei confini distrettuali ai territori, i centri urbani, specializzati su queste risorse, attivando e utilizzando reti di connessione. Solo con un alto livello di trasferimenti tecnologico ricerca-imprese si potrà rafforzare il tessuto produttivo toscano e impedire la sua uscita dalle grandi catene del valore.
- In secondo luogo, occorre riprendere in mano il tema delle dimensioni delle imprese e della relativa tematica di corporate finance. L’industria ha retto l’urto della globalizzazione, con un sistema di export ancora significativo, con punte avanzate nel settore meccanico e farmaceutico e con molte conferme produttive in quello della moda, ma con una non adeguata capacità di rafforzamento imprenditoriale e quindi di qualità occupazionale. E’ ormai endemica la difficoltà di passaggio dalla “piccola impresa” tipica della regione alla “media impresa” più diffusa nel Nord Italia. Là le imprese medie hanno potuto contrastare il rallentamento della domanda aggregata riuscendo ad acquisire mercati di sbocco grazie a tecnologie di produzione e distribuzione avanzate e ottenendo capitalizzazione e finanziamenti cospicui a costi relativamente bassi. La configurazione distrettuale della Toscana, che mantiene i suoi tradizionali meriti, può essere sostenuta anche da imprese di più grandi dimensioni, in forma di società di capitali, rispetto alla media delle quelle attuali. Nell’area fiorentina, di gran lunga quella con maggiore imprenditorialità, Le società di capitali sono meno del 30%, circa il 20% sono le società di persone, il restante 50% sono imprese individuali, cioè non imprese. Solo circa 500 sono le imprese affiliate a uno o più contratti di rete depositati o iscritti al Registro delle Imprese, poco più del 5% delle imprese attive.
- In terzo luogo, occorre rivitalizzare la politica infrastrutturale all’interno della regione. Che la caduta degli investimenti pubblici sia stato uno dei fenomeni più gravi della crisi è risaputo. Con un po’ di semplificazione è stato attribuito interamente alla riduzione dei finanziamenti pubblici. Tuttavia, con il venir meno del Patto di stabilità interno e delle restrizioni più rigide sulle risorse finanziarie, a partire dal 2016, gli investimenti della pubblica amministrazione regionale e comunale non hanno ripreso con la necessaria vigoria. I pubblici funzionari, condizionati da una rinforzata avversione al rischio, sembrano non avere più le competenze per proporre progetti innovativi, dopo anni dedicati a frenare e rinviare. Occorre sviluppare un piano coordinato a livello regionale di rinnovamento anagrafico e di competenze all’interna della pubblica amministrazione dell’intera regione. Il dissidio, poi, tra legislazione anti corruzione e di tutela ambientale, da un lato, e attività imprenditoriale per la fornitura di infrastrutture, dall’altro, non è mai stato così esacerbato e limitante. Ma soprattutto emerge come sia una certa politica, con le sue contraddizioni e le sue schizofrenie, a frenare l’adeguamento dello stock di capitale pubblico allo sviluppo di un’economia regionale globalizzata: da un lato, si evocano gli investimenti pubblici per superare l’austerità e, dall’altro, si ascoltano le sirene della decrescita felice e si pongono anacronisticamente dei “no assoluti a tutto”.
- In quarto luogo, occorre approfittare delle grandi opportunità che la nuova legislazione sul Terzo settore (una delle riforme simbolo dei governi a guida PD della XVII legislatura) può dare (alcuni decreti legislativi della delega sono sospesi presso la Commissione speciale) al settore dell’assistenza e per certi comparti della sanità, in particolare nella medicina per non acuti. La Toscana ha una grande tradizione di associazionismo, non profit o anche profit, in cui aziende al di fuori della pubblica amministrazione, ma sottoposte a un rigoroso accreditamento regionale, possono rivitalizzare l’offerta di prestazioni in un settore in cui le innovazioni della tecnologia medica e la demografia tendono ad allargare a dismisura la domanda. Il potenziamento del terzo settore ha risvolti positivi in termini di sostenibilità finanziaria, data la dinamica dei costi pubblici, e di nuova occupazione. In campo assistenziale, si contano infatti decine di nuove competenze e attitudini che generano nuove professioni e nuovo lavoro, anche ad alto contenuto tecnologico.
- In quinto luogo, la Toscana deve rafforzare il tessuto delle proprie aziende di servizi pubblici. Si tratta, in alcuni casi, di imprese industriali dinamiche dal lato degli investimenti e regolate in materia tariffaria dal doppio binario Autorità indipendente nazionale e Autorità locale, regionale o di ATO. Sono società miste sotto il controllo degli enti locali, ma che beneficiano dell’apporto manageriale dei soci privati. La prima cosa da fare è stoppare le spinte municipalistiche e anti-industriali di chi vorrebbe riportare sotto l’alveo della pubblica amministrazione locale la gestione di queste aziende, eliminando la concorrenza e sostituendo la regolazione indipendente. In secondo luogo, occorre avviare con coraggio il processo di aggregazione aziendale per dare anche alla Toscana dei player nazionali paragonabili a quelli europei e del Centro-Nord d’Italia. Settorialmente bisogna sconfiggere la falsa ideologia sociale-ambientale che aleggia per il servizio idrico e dei rifiuti. In particolare in quest’ultimo la Toscana registra una arretratezza infrastrutturale e una debolezza programmatica a cui occorre porre rimedio.
- Infine, occorre insistere sulla revisione istituzionale – accorpamenti dei comuni, potenziamento della Città metropolitana e sviluppo di un ente intermedio che non riproduca pedissequamente le vecchie province. Al riguardo occorre anche affrontare con coraggio l’ipotesi del regionalismo differenziato, in applicazione dell’art. 116 della Costituzione, magari in relazione anche ad una prospettiva di aggregazione regionale. Un maggiore decentramento e autonomia nelle competenze di alcune tematiche, sulle quali l’esperienza amministrativa toscana è certamente superiore a quella nazionale, e una maggiore autonomia fiscale regionale e quindi anche locale, possono assicurare una flessibilità dal lato delle risorse che appare indispensabile per assecondare lo sviluppo economico della regione. In questa direzione la Toscana potrebbe sviluppare una sinergia con l’Emilia Romagna, regione che si appresta a ricevere l’autonomia rafforzata grazie ad un progetto credibile e coerente con la Costituzione.
La prossima legislatura, venendo da una fase di buon governo, sebbene sostanzialmente difensivo, dovrebbe inaugurare una nuova stagione della politica economica regionale, da un lato più attiva e dall’altro più sensibile alle istanze della libera iniziativa e del mercato. In particolare occorre dare al sistema delle imprese tutti i possibili strumenti per consentire alla Toscana quel salto di qualità che si attende invano da decenni. Confidando su un tessuto produttivo più efficiente e produttivo, potranno risultare più efficaci anche gli interventi di natura redistributiva, di contrasto della povertà e di tutela ambientale. La sostenibilità sociale e ambientale non può andare, anche a livello regionale, disgiunta da quella economico-finanziaria.
Massimo Papini
Analisi approfondita,accurata che dovrebbe costituire la base per il programma del futuro governo della regione Toscana.Aggiungerei,anzi approfondirei alcuni temi relativi alla sostenibilità ed al grosso tema dell’inclusione.
Luigi Bardelli Bardelli
Molto interessante l’intervento del prof. e di grande utilità. Non affronta un argomento per me fondamentale, che è quello di un serio decentramento in chiave del concetto di sussidiarietà. Sento, soprattutto nel terzo settore, come buone leggi, buoni decreti, finiscono per avere grandi difficoltà di applicazione sia per i tempi (burocrazia) sia per mancanza di riflessione sul concetto di PERSONA che fa da sfondo agli slogan del maggior partito della sinistra. L’applicazione corretta di questo fondamentale concetto, ha bisogno di un serio ribaltamento del concetto di “fare politica” che deve assumere la spinta primaria della periferia.