Venerdì prossimo la “perfida Albione” saluterà l’Europa e il divorzio tra Regno Unito e Unione Europea sarà ufficiale. Sarà un appuntamento unico e storico, anche se dal 1 di febbraio avremo un periodo di transizione in cui si dovrà, a dir la verità, trovare l’intesa su un bel po’ di cose: accordi commerciali bilaterali, accordi sulla sicurezza, sulla politica energetica, sulla ricerca medica, sugli spazi aerei, sull’immigrazione, sui rapporti tra mercati finanziari etc etc…
Ci sono migliaia di norme da scrivere o riscrivere ex novo, una intera legislazione da discutere, trascrivere ed attuare entro la fine dell’anno, se non si vuole arrivare alla spaventosa “Brexit no deal”, che temo, sia di qua, che di là, non si sappia esattamente cosa possa comportare, ma suona solennemente male.
Qualcuno potrebbe obiettare che “chi è causa del suo mal pianga se stesso” e che comunque il volenteroso e spavaldo Boris Johnson saprà stupirci ancora.
Al di là della inevitabile incertezza che si respirerà per tutto l’anno oltremanica, al di là della debolezza in cui si trovano attualmente le imprese britanniche e la loro valuta nazionale, al di là che solo la storia ci dirà se gli inglesi hanno fatto bene a seguire così tanto la “pancia” del popolo, prima di studiare, definire e trovare le opportune soluzioni ad un problema, ritengo che il vero punto sia un altro: è probabilmente finita l’idea di Europaintesa come potenza economica e commerciale.
Eravamo nati per essere un contraltare della potenza americana, ci ritroveremo ad essere periferia di economie mature molto più solide di noi (USA) o di economie emergenti molto più aggressive di noi (Cina).
E noi, Italia, rischiamo di essere periferia della periferia, praticamente un ghetto.
Il fatto poi che altre economie simili alla nostra o di Paesi limitrofi siano destinate ad impoverirsi è una pericolosissima consolazione: è meglio avere una casa modesta in un bel quartiere residenziale, o una casa anonima in un quartiere degradato?
Lascia un commento