Giusta, sbagliata o inevitabile che sia stata, la decisione della Corte Costituzionale sulla non ammissibilità del referendum per trasformare in maggioritario il nostro sistema elettorale rappresenta un ulteriore passo, forse quello definitivo, per riportare il nostro Paese indietro di 30 anni, quando iniziò il percorso che ci ha portato ad adottare sistemi elettorali, sul piano comunale, regionale e nazionale, che, sia pure con differenti gradi di intensità, privilegiavano la governabilità sulla rappresentatività. Ora la conseguenza di questa pronuncia è che mentre per Comuni e Regioni restano in vigore i sistemi elettorali tendenzialmente maggioritari per il piano nazionale ci si appresta a tornare al vecchio sistema proporzionale sia pure corretto da una soglia di sbarramento che per ora sembra assestarsi al 5%.
La cosa, come inevitabilmente sempre accade, vede favorevoli e contrari, con i primi che prevalgono nettamente, sia che questo sia davvero il loro pensiero sia che assumano la posizione per meri interessi di parte.
Noi, al contrario, al di là dell’interesse contingente (le nostre posizioni liberaldemocratiche e riformiste sono netta minoranza nel Paese) eravamo e siamo favorevoli alla governabilità e ad un sistema maggioritario, più o meno tendenziale.
Sgombriamo intanto il campo dall’argomentazione, che è di molti, e che punta sul fatto che in realtà il sistema elettorale nazionale più maggioritario che abbiamo avuto, il Mattarellum, non ha dato buona prova di sé nel senso che non ha assicurato la tanto agognata governabilità. L’argomentazione, a nostro avviso, non è pertinente. Per due motivi. Prima di tutto perché in realtà quel sistema elettorale ha funzionato favorendo la nascita di schieramenti contrapposti che si sono alternati al potere, secondo perché a quella riforma elettorale non sono seguite le riforme costituzionali che dovevano adattare il sistema istituzionale alla mutata legge elettorale.
Ora si torna ai santi vecchi, che poi santi non erano. Ingovernabilità, fibrillazioni continue nelle alleanze, ricatti e forzature. Con un’aggravante. Oggi, a differenza di allora, non ci sono più partiti strutturati ed ancorati ad un sistema di pensiero. Prevale il piccolo cabotaggio, l’interesse del momento, la furbizia da quattro soldi. Tutte cose che possono portare una forza politica a sopravvivere e magari anche a vincere, per una volta. Ma certamente tutte cose che non sono nell’interesse del Paese. E alla lunga quando invece che sulla forza delle idee si punta a marchingegni tecnici per prevalere sugli avversari non si costruisce niente di positivo.
Stefano
Completamente d’accordo … anche se per me Salvini è il male assoluto, credo che avrei votato si al referendum bloccato dalla Consulta … che mi ha tolto un bel dilemma.
Lorenzo Colovini
Non sono d’accordo sulla beatificazione del maggioritario a turno unico. Una legge elettorale può avere di mira la rappresentatività o la governabilità. Scrivo “o” e non “e” perché purtroppo, pur essendo entrambi gli obiettivi del tutto condivisibili, sono intrinsecamente in conflitto (e non credo occorra spiegare perché).
Questo sistema non è affatto rappresentativo, premia senza motivo i partiti territoriali e facilmente produce risultati lontanissimi dalla volontà popolare. Si dirà, non è rispettoso della rappresentatività ma almeno garantisce la governabilità: errore. Lo farebbe se ci fossero due forze in campo come non a caso è stato per lungo tempo nel Regno Unito (ma con due sole forze in campo, qualsiasi sistema, anche il proposizionale puro, funzionerebbe bene). In definitiva, un sistema che fa strame della rappresentatività, che non dà garanzia di un vincitore e che espropria letteralmente gli elettori della facoltà di scelta. Perché con questo sistema i partiti impongono uno e un solo candidato. Magari impotabile. Attenzione poi: poiché poi il maggioritario puro ovviamente forza a coalizioni (per prendere almeno un voto in più degli altri), una volta decisa nelle segrete stanze la coalizione, sarà negoziata sempre sulla testa degli elettori anche la distribuzione delle candidature. Quindi non solo sarà possibile trovarsi di fronte ad un improponibile candidato del proprio partito ma anche facilmente il candidato di un altro partito alleato giocoforza. Il sistema ha altresì un pregio, almeno teorico. “Lega” il Parlamentare al territorio. Chi vuole essere eletto nel suo collegio deve sudarsi voto per voto e si crea un mandato di rappresentanza (similmente a quanto avviene per i Sindaci) molto forte. Questo è un aspetto positivo peraltro con dei risvolti anche potenzialmente negativi sulla disciplina dei gruppi parlamentari: fisiologico che un parlamentare eletto si senta più autonomo dal suo gruppo/partito quando si tratta di problematiche locali che impattano sul suo collegio di riferimento.