L’Italia, come è noto, nel 1911-1912 scacciò l’impero ottomano da Tripolitania e Cirenaica e la guerra italo-turca si concluse con la creazione della Libia quale colonia italiana.
A cento anni di distanza l’Italia e gli stati dell’ Unione Europea non riescono ad esercitare un ruolo positivo per la gestione della crisi libica e per la ricerca della sua pacificazione e stabilità proprio nell’area loro prospicente del Mediterraneo centrale, mentre cresce l’influenza delle più lontane Turchia e Russia.
E questo mentre il flusso dei migranti che transita e parte dalla Libia interessa in misura rilevante l’ Italia, perché pesa sul nostro stato e perché ci pone il problema umanitario del trattamento degli stessi migranti.
Vi è stato un vuoto politico che non può essere colmato dal maggiore spessore di un ministro degli esteri o capo di governo: è stato notato che anche se avessimo Churchill a rappresentarci, l’Italia sarebbe comunque marginale, dati i presupposti e i limiti della nostra azione in un momento di confronto militare.
Occorreva infatti che nel corso di questi anni, assieme all’ azione politico diplomatica, l’Italia avesse previsto – e proposto all’ Unione Europea, quasi assente sul dossier Libia – di organizzare una missione internazionale a guida italiana con lo scopo di fermare il ricorso alle armi e favorire la pacificazione e la riorganizzazione dello stato della Libia, evitando le sopraffazioni verso minoranze e verso la popolazione dei migranti.
Sarebbe servito come deterrente per dare più forza all’ azione diplomatica e, nel caso di necessità di concretizzare la missione, la serietà e la fondatezza dell’ iniziativa potevano indurre l’ Onu a uscire dall’ impasse e a dare il proprio assenso.
L’ Italia era peraltro interessata a vedere diminuire il flusso dei migranti dalla Libia e ad esercitare un ruolo di controllo a fini umanitari sui campi di detenzione che tanta preoccupazione hanno suscitato. Limitarsi alla chiusura dei porti è stata una politica miope che voleva ottenere un risultato immediato e ad effetto, senza avere il coraggio di prospettare un’ azione più radicale di governo dei flussi migratori provenienti molto dall’ Africa sub-sahariana, anche da limitare con metodi e progetti umanitari : l’Onu è stata assai debole in tale azione.
Ed anche la ipotesi del blocco navale è finalizzata unicamente a proteggere il territorio italiano.
Se questi sono i limiti della politica della destra o centro-destra italiani, notevoli limiti hanno avuto anche i governi di centro sinistra.
Infatti, quando circa cinque anni fa la Ministra della Difesa Pinotti prospettò la possibilità di predisporre una forza di circa 5000 uomini per un eventuale intervento internazionale in Libia, guidato dall’ Italia, da molte parti si levarono critiche ed anche nel suo stesso governo si rilevò come in alcun modo la Difesa dovesse preparare un simile piano.
Mancavano e mancano all’ Italia i presupposti culturali e politici per poter concepire anche l’opzione militare, da usare certo in caso estremo e sulla base di legittimazione internazionale.
Sarebbe complesso entrare nel merito di tale debolezza italiana . Basti pensare che per molti, soprattutto nell’ area di sinistra, non si tratta neanche di debolezza, ma di una mera scelta ideale. Certo sarebbe meglio poter spendere meno in armamenti e tutti auspichiamo un mondo più pacifico dove tutti i problemi si risolvono col confronto e col dialogo, ma l’ingenuità e l’ astratto appello ai principi di civile convivenza, allorché altri imboccano la strada delle armi, non conduce a niente di buono.
Tornando a quanto avvenuto in Libia ricordiamo che per anni abbiamo avuto, dopo la caduta di Gheddafi, milizie che si contrapponevano, anche con infiltrazione dell’ Isis. Si era creata una situazione di caos, di sofferenze di quella popolazione e dei migranti che transitavano in tale paese.
Poi si è insediato il governo di unità nazionale di Al-Serraj che ha ottenuto il riconoscimento dell Onu, mentre vari paesi (Russia, alcuni paesi arabi e a quanto pare la Francia !) hanno continuato ad appoggiare il leader della Cirenaica generale Haftar, che ha nel tempo dimostrato una sempre maggiore aggressività, motivata pubblicamente dall’ intenzione di combattere il terrorismo che si anniderebbe nella contrapposizione tra milizie.
L’Italia ha sostenuto (secondo alcuni con decrescente convinzione) il Governo legittimo del presidente Serraj, insediato nella capitale libica Tripoli ed ha sempre operato e auspicato , come gli altri paesi europei, il dialogo tra le due principali realtà che si erano create in Libia, ma la pressione dell’ esercito della Cirenaica è proseguita ed è sfociata poi nella marcia su Tripoli.
Si ponga attenzione su questo elemento: Haftar non ha invocato l’ indipendenza della Cirenaica, ma ha marciato sulla capitale di tutta la Libia per impadronirsi del potere.
Era quello il momento per l’Europa (eventualmente anche senza la Francia) per dialogare e tentare la pacificazione richiedendo con fermezza la rinuncia all’uso delle armi, ma in ultima analisi per dare disponibilità ad un aiuto militare o all’ organizzazione di una missione internazionale con lo scopo di pacificare e stabilizzare la situazione, auspicabilmente nell’ ambito di un mandato Onu.
L’aiuto poteva consistere in istruttori o armamenti e quanto necessario senza un diretto intervento di truppe italiane o europee. In tal senso, secondo vari analisti (e qualche affermazione tra le righe di nostri comandanti ), le forze armate italiane sono all’altezza di un simile compito di guida di una missione e di intervento in uno scenario quale quello libico ove le milizie in campo non hanno la struttura di un esercito di livello elevato. E un eventuale invio di truppe avrebbe potuto essere finalizzato al tentativo di creare una forza di interposizione tra le parti.
E poiché la struttura del governo Serraj è debole ed ha aspetti criticabili nei metodi gestionali e per il fatto di basarsi su accordi tra milizie, spesso fondati su spartizioni economiche, ad esempio quelle derivanti dal petrolio, un eventuale ruolo incisivo dell’Italia avrebbe dovuto essere condizionato all’accettazione di una supervisione internazionale mirante alla riorganizzazione dello Stato libico, a garanzie per le varie parti in campo e al controllo dei centri di accoglienza dei migranti.
Un simile nostro atteggiamento inoltre sarebbe stato utile a mettere l’ Europa clamorosamente di fronte alla necessità di una politica comune di difesa. Ricordiamoci infatti una definizione efficace (anche se grossolana) della politica europea : l’ Europa è gigante in economia, nano in politica estera, verme in politica militare.
Molti infatti vedono il nostro possibile ruolo con l’ottica di un paese democratico consapevole non solo del proprio inserimento in un’Europa posta a nord, ma anche della necessità di favorire la convivenza dei paesi posti a sud, al di là del mare che la circonda.
E facciamo un’ altra considerazione.
Dagli anni 90 di fronte ai massacri avvenuti nella ex Jugoslavia e in Africa si è andato affermando il principio di ingerenza umanitaria, allorchè vengano attuati interventi militari per proteggere popolazioni ed attuare processi di pacificazione sotto l’ egida dell’ Onu, che può “delegare” altre organizzazioni, ad esempio la Nato proprio nei Balcani.
Inoltre la comunità internazionale, nel caso vi fosse da richiedere un intervento, ha sempre valutato le caratteristiche di storia comune, vicinanza geografica o altri caratteri similari.
L’Onu affidò all’ Italia l’amministrazione fiduciaria della Somalia, oggetto dei suoi passati interventi colonialisti, dal dopoguerra e fino al 1960 al fine di condurla all’ indipendenza.
Quando vi fu la crisi e la dissoluzione dello Stato albanese, dopo la caduta del regime comunista, la flotta militare dell Albania si andò a consegnare ovviamente nei porti italiani e l’Italia, che aveva cinquant’ anni prima occupato l’ Albania, aiutò la ricostituzione di quello stato.
Noi siamo mancati ed ora è in campo la Turchia a fianco di Serraj (e senza porgli condizioni a quanto pare) mentre l’ Onu è riuscita unicamente a programmare la futura Conferenza internazionale di Berlino. E ricordiamo che i turchi hanno già dimostrato, nel mare di Cipro, la loro attenzione per l’ aspetto che riguarda l’ estrazione di idrocarburi .
E nel caso di esplosione del conflitto non saremmo indenni perché migliaia di profughi libici si potrebbero riversare verso l’ Italia.
Pur stando fuori da rischi diretti, il danno per Italia si profila. Non resta al momento che far leva sulla diplomazia con i libici (e anche con russi e turchi) nonchè contribuire con Onu e Europa al cosiddetto processo di Berlino.
Lascia un commento