Il 19 gennaio del 2000 moriva Bettino Craxi: a ricordare il ventennale della sua scomparsa, sono già usciti alcuni libri e il film di Gianni Amelio, intitolato proprio Hammamet, che è il nome della città dove l’ex presidente del Consiglio dei Ministri ed ex segretario del Partito Socialista Italiano si era rifugiato per evitare il carcere.
A partire dal 1992, l’anno in cui iniziò la stagione di Mani Pulite, i vertici dei principali partiti italiani (solo il Pci fu, per così dire, graziato dai pm milanesi) vennero tutti indagati e processati, poiché, in seguito alle dichiarazioni di Mario Chiesa, si fece luce sul sistema generale di finanziamento illegale che essi avevano creato, e su dei casi specifici di corruzione.
Il clima – chi ha una certa età, sicuramente lo ricorda bene – era quello di una vera e propria caccia alle streghe. L’opinione pubblica fu fortemente colpita dalle rivelazioni e si schierò in gran parte con i magistrati inquirenti del pool di Milano, i quali si sentirono investiti di un ruolo da veri e propri moralizzatori della società e, come i giacobini negli anni 1792-94 della Rivoluzione francese, iniziarono a perseguire tutta la classe dirigente della politica italiana, ad esclusione dei comunisti.
E così, quando, nel 1994, capì che non avrebbe avuto scampo (anche perché il Parlamento, sulla scia dell’ondata giustizialista, aveva abolito l’immunità per i parlamentari, consegnandosi al potere giudiziario), Craxi lasciò l’Italia e si rifugiò in Tunisia, dove tuttora le sue spoglie riposano.
In seguito venne condannato: a 5 anni e 6 mesi per corruzione, e a 4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito.
Ma prima di partire, il 29 aprile 1993, Craxi aveva pronunciato il suo ultimo e forse più celebre discorso alla Camera dei deputati; denunciando apertamente il sistema illegale con cui tutti i partiti italiani si erano sempre finanziati, ma rifiutando l’accusa di corruzione, cioè di essersi arricchito personalmente con le tangenti.
“Basta con l’ipocrisia” fu il suo messaggio, disperato, all’assemblea dei deputati; nella quale erano presenti anche quelli che si erano schierati con i magistrati di Mani Pulite, e che per anni avevano finanziato il loro partito grazie ai quattrini arrivati illegalmente dall’Unione Sovietica.
Era proprio questo il “peccato originario” di Bettino Craxi: il suo essere un socialista liberale e anticomunista; a partire da quel tragico 1956, quando i carri armati dell’URSS invasero l’Ungheria e, mentre i dirigenti del Pci applaudivano, il giovane Craxi fu uno di quelli che determinarono l’allontanamento definitivo del Psi dall’orbita sovietica; al punto da sostituire la falce e martello con il simbolo del garofano, una volta diventato segretario del Psi.
Sicuramente, anche altri elementi della sua politica da presidente del Consiglio lo portarono ad essere considerato un “pericolo” per gli assetti istituzionali della Repubblica: innanzitutto il suo concepire la collocazione dell’Italia nell’alleanza atlantica ma rivendicando un ruolo autonomo, come si vide nell’episodio di Sigonella, dove ordinò ai nostri militari di bloccare un intervento delle forze speciali americane all’interno dei confini italiani; e poi la sua grande intuizione politica, secondo la quale l’Italia aveva bisogno di una riforma di tipo presidenzialista, per avviare un vero processo di modernizzazione.
L’aver pestato i pedi, da una parte, al Pci che aveva tessuto dai tempi di Togliatti stretti legami con la magistratura, e, dall’altra, all’alleato americano negli anni del suo forte impegno nell’area mediterranea, sicuramente, contribuì alla fine prematura della carriera politica di Bettino Craxi. E, indirettamente, anche alla sua morte.
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