Liberiamo il campo subito dalla questione più grave: alle vittime del crollo del ponte Morandi a Genova va resa giustizia, e va resa in tempi rapidi, con l’accertamento delle responsabilità penali di tutti coloro che hanno concorso al verificarsi della tragedia.
Le numerose situazioni critiche emerse su altre tratte autostradali, dalla Liguria all’Abruzzo, ed in generali sullo stato dei ponti sulla rete autostradale ma anche sul sistema di viabilità nazionale, regionale e locale, impongono una seria riflessione su come assicurare il mantenimento in efficienza ed in condizioni di sicurezza di collegamenti stradali essenziali per i cittadini e per l’economia del paese.
Questo richiede una approfondita analisi delle concessioni autostradali vigenti, del ruolo del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, del sistema di controlli delle condizioni della rete stradale ed autostradale che allo stato dei fatti si è rivelato gravemente carente.
Revocare si o no? Si mette in gioco la certezza del diritto
Il punto sul quale si è concentrata l’attenzione della politica riguarda la possibilità di revocare la concessione a Società Autostrade per l’Italia per gravi carenze nel controllo e nel mantenimento in condizioni di sicurezza dell’infrastruttura autostradale.
E’ una possibilità concreta che deve essere valutata con attenzione nei presupposti di diritto e nelle implicazioni di fatto, in particolare per i costi che lo stato dovrebbe sopportare per la revoca,
anche perché lo stato, nell’esercitare le sue funzioni di controllo attraverso il MIT, Direzione Generale per la Vigilanza sulle Concessionarie Autostradali, nella Relazione sulla attività 2017, certifica che ASPI ha eseguito manutenzioni per un importo di 2.811 milioni di euro nel periodo 2008-2017, andando oltre i 2.736 milioni previsti dai piani finanziari approvati.
Per questo motivo nel decreto mille proroghe è stata introdotta una nuova disciplina che modifica profondamente le procedure in caso di revoca delle concessioni autostradali con il subentro immediato di Anas nella concessione e la l’introduzione di un nuovo metodo di calcolo dell’indennizzo, uguale per tutti, che farebbe scendere da oltre 25-23 a meno di 10 miliardi di euro la somma che lo Stato dovrebbe versare.
Le obiezioni sono note: si cambiano di autorità e con efficacia retroattiva i contenuti economico-finanziari del contratto di concessione liberamente stipulato e si nega di fatto il diritto di recesso per il quale la nuova normativa non riconosce indennizzi.
Cambiare le regole in corso appare in contraddizione con quello che scriveva nel marzo 2008 l’allora presidente dell’Anas Pietro Ciucci approvando la convenzione con Aspi. «La determinazione dell’importo da riconoscere in caso di decadenza è uno dei cardini del contratto ed è finalizzato a dare maggiore effettività alla clausola di decadenza stessa. Il contenuto della clausola è particolarmente rilevante per la “bancabilità” del piano finanziario»., ovvero le regole sull’indennizzo non possono essere modificate unilateralmente, cioè senza un accordo fra le parti, come ha deciso di fare il governo.
sono norme inquietanti che prefigurano un modello di stato-padrone che oggi colpisce ASPI ma che domani con la stessa durezza può essere applicato a qualsiasi aspetto della vita quotidiana nei confronti di chiunque non si allinei al pensiero del governo in carica.
Dall’altro, danno l’immagine di una paese inaffidabile sempre più vicino al modello sudamericano di repubblica delle banane dove la legge muta al volere del caudillo di turno, così allontanando gli investitori internazionali già scossi dal caso ex ILVA con lo scudo penale che va e viene.
Colpire i Benetton e punire la finanza internazionale
Ma la debolezza dei grillini impone di avere un nemico ed un nemico che non sia una astrazione giuridica ma persone in carne ed ossa, da additare al pubblico ludibrio: il Paladino Di Maio necessita di un Feroce Saladino da abbattere e cosa c’è di meglio degli azionisti di controllo di ASPI?
Ed ecco allora ecco il nostro all’attacco «Via la concessione ai Benetton» come se ASPI e la controllante Atlantia fossero aziende di famiglia, ristrette nei confini nazionali e non fosse il maggior operatore europeo nel settore delle infrastrutture con attività anche in paesi extraeuropei e con un azionariato nel quale sono presenti alcuni tra più importanti investitori internazionali.
A l 31 dicembre 2017, gli azionisti di Autostrade per l’Italia S.p.A. erano i seguenti soggetti:
Atlantia S.p.A. – 88,06%, Appia Investments S.r.l. – 6,94%, Silk Road Fund – 5,00%
Al 2017, Appia Investments S.r.l. era un consorzio formato da Allianz Capital Partners, per conto di Allianz Group (Germania) EDF Invest (Francia) e DIF Infrastructure,(Olanda) mentre Silk Road Fund è un fondo di investimenti statale della Repubblica popolare cinese.
Se poi guardiamo gli azionisti di Atlantia, la controllante, dopo il gruppo Benetton con il 30,25% il secondo maggior azionista stabile, con una quota dell’8,14%, è GIC Pet. Limited, fondo sovrano ciel governo di Singapore, seguito da Lazard Asset Management (5,02%) e dall’inglese HSBC Holdings (4,96%) mentre il terzo azionista stabile è la Fondazione della Cassa di Risparmio di Torino, col 5,06%.
Del capitale flottante pari al 45,4% del capitale complessivo solo il 19,9% è in mano italiana mentre il 23,9% è in mano americana ed il 20,4% in mano britannica.
Quindi se si ripartisce l’88% di quote di ASPI detenute da Atlantia tra i soci di questa è facile calcolare che ai Benetton fa capo solo il 27% di ASPI: per colpire il suo nemico Di Maio colpisce indiscriminatamente i grandi investitori internazionali delle maggiori piazze finanziarie mondiali, un capolavoro per un ministro degli esteri che dovrebbe sollecitare ad investire in Italia.
Le conseguenze possibili sul sistema bancario: ci conviene?
A questi problemi di immagine e credibilità del paese si aggiungono le ricadute sui creditori, banche ed obbligazionisti anche qui con una fortissima esposizione all’estero. ASPI ha un debito bancario che si aggira intorno ai 8,3 miliardi, ai quali si aggiungono esposizioni finanziarie verso Cassa Depositi e Prestiti e Banca Europea degli Investimenti, e bond detenuti da circa 17 mila risparmiatori. L’indebitamento è quadruplicato, con il consolidamento del debito della spagnola Abertis, passando dai 9,5 miliardi del 2017 ai quasi 38 del 2018.
Un debito imponente ma sostenibile entrerebbe in tensione se venissero a mancare, post-revoca, gli introiti di Autostrade per l’Italia e che colpirebbe il gotha della finanza internazionale ed italiana: all’estero Credit Suisse, Crédit Agricole, Societè Genenerale, Natixis, Jp Morgan, Bofa Merrill Lynch, Deutsche Bank e Citigroup, in Italia Intesa-Sanpaolo, UniCredit, Bnl-Bnp Paribas, Ubi, BancoBpm e Bper.
La revoca della concessione con conseguente default di ASPI potrebbe innescare una crisi bancaria in Italia, e con la condizione delle banche in Italia proprio non se ne intravede il bisogno: prime avvisaglie il taglio del rating di Atlantia e ASPI da parte di Moody’s.
A tutela dei creditori la vigente disciplina delle concessioni affida ai finanziatori l’indicazione di “un operatore economico, che subentri nella concessione, avente caratteristiche tecniche e finanziarie corrispondenti o analoghe a quelle previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione è stata affidata, con riguardo allo stato di avanzamento dell’oggetto della concessione alla data del subentro”.
Quanto si sentiranno tutelati i finanziatori dal subentro senza gara nella concessione, in dispregio delle norme comunitarie, di ANAS, soggetto privato sulle cui capacità operative c’è da avere, per esperienza pregressa, più di un dubbio.
Ma pd ed Italia Viva che ci stanno a fare?
E’ fuor di dubbio che nei confronti di Autostrade per l’Italia si debba procedere con la necessaria severità, ma senza rinunciare alle regole del diritto e senza compromettere la reputazione internazionale del paese, già abbondantemente minata dall’esperienza del Conte I e che ora rischia di precipitare definitivamente e senza rimedio con il Conte II , per opera dei grillini che, disperati nel loro tramonto, operano attivamente per lo smantellamento dell’industria nazionale sventolando la bandiera dell’assistenzialismo, dello stato-bancomat e rimuovendo i capisaldi dello stato di diritto:.
Stupisce il PD che subisce passivamente questa deriva alla quale troppo timidamente si contrappone anche Italia Viva: paralizzati dalla paura delle elezioni stanno arretrando mettendo in pericolo il futuro dell’Italia.
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