E così ora c’è anche Calenda. Avanti con un nuovo partitino che cerca di solleticare quella parte minoritaria, quasi inesistente in Italia, rappresentata dal pensiero liberaldemocratico. Che si può coniugare in tanti filoni politico culturali: liberalsocialista, democratico, liberal fino ad arrivare alle propaggini della socialdemocrazia, nordica naturalmente.
Il nome è ovviamente bello. Azione. E’ bello perchè sposa, nel nome, il dinamismo e in quanto tale richiama un certo “futurismo marinettiano”. E’ bello perchè ricorda il Partito d’Azione. Un partito con grandi idee, con una forte impronta innovativa per un paese che veniva da vent’anni di dittatura e che, forse proprio per la sua innovatività, si sciolse non appena il “gioco cominciò a farsi duro. Ed è infine bello perchè ammicca ai fumetti degli Avengers che portano un po’ di contemporaneità, di gioventù e di fantasticheria. E in un paese oramai così triste e arrabbiato fantasticare un po’ non fa certamente male.
Ma dopo il nome cosa c’è. E direi per ora non molto. A differenza del “fratello maggiore” “Italia viva” che è partito con un grande battage pubblicitario e con una pedana di lancio strasperimentata come la Leopolda, Azione parte un po’ così alla buona. La coppia Calenda Richetti dà per l’ora l’idea di due bravi ragazzi, impegnati, onesti e competenti ma un po’ “naif” nella gestione della Politica. Anche l’idea della “doppia tessera”, se da una parte appare incontrare l’esigenza di avvicinare una parte di militanti già iscritti ad altri partiti ma magari curiosi di andare a vedere cosa c’è dentro questo nuovo contenitore, appare quantomai inconsueta. E fa parte appunto di questa partenza un po’ “alla cieca”. Intanto andiamo, poi camminando qualche idea ci viene e chissà che anche un po’ di struttura organizzativa non cominci a consolidarsi.
Non c’è molto quindi, ma qualcosa c’è. Se si va oltre la “struttura partito”, che appare quantomai gassosa, c’è invece una certa consistenza in termini di idee e di posizionamento ideologico. O ideale se si vuole essere meno novecenteschi.
Intanto questa idea del liberalsocialsmo o socialismo liberale. Anche questa con una certa storia nella cultura del paese ma poi completamente abbandonata nello scontro, questo si novecentesco, fra capitalismo e comunismo. Si tratta di una idea di grande interesse propugnata da Carlo Rosselli, poi ripresa da Ferruccio Parri col Partito d’azione e poi spentasi nel terribile scontro della “guerra fredda”. Ma tale filone è sempre stato vivo fra i democratici statunitensi e fra gli studiosi liberal, come John Rawls, che non hanno mai abbandonato l’idea che il liberalismo e alcuni principi socialisti potessero convivere per delineare una società più libera e nello stesso tempo più giusta.
E poi ci sono le idee di Calenda sui grandi temi dello sviluppo del paese. E, a parte, le idee di attacco su Alitalia e Ilva, che già da sole valgono l’adesione al suo partito, appare di grande interesse la visione che vede nella Sanità e nella Scuola, da rilanciare in termini di efficienza e qualità, i due pilastri per fondare un diritto di cittadinanza diffuso e generalizzato, senza il quale, il liberalismo diventa una teoria sociale divisiva e negativa per le classi meno abbienti. Se si vuole fondare la società sulle opportunità e non sulla eguaglianza dei risultati, così come propugna l’idea liberaldemocratica, occorre che tutti debbano essere messi alla pari al nastro di partenza. E la salute e l’educazione sono i due asset irrinunciabili per chiunque si debba impegnare nel proprio percorso di crescita e di carriera. E appare interessante anche, con una lettura strettamente keynesiana, che il tema centrale dello sviluppo e della crescita del paese risiede nel rilancio degli Investimenti che rappresentano l’aggregato meno dinamico per crescita negli ultimi dieci anni. E questa visione appare in forte sintonia con l’impostazione di Italia viva e di Renzi così come è stata presentata a Torino in relazione al “Piano Shock” per l’Italia.
Che dire allora? Le idee ci sono. Lo spazio politico c’è ed è evidente anche se è oggi presidiato, pur con diversi approcci organizzativi e ideali, da Forza Italia, Italia Viva, PiùEuropa e un pezzo di Pd. E allora c’è da sperare una sola cosa. Non tanto che Calenda, da solo col suo Partito, riesca a far fuori tutti i contendenti che gravitano in questa area e a rappresentare l’alternativa liberaldemocratica del paese. Che in Italia può aspirare ad un 15/20% al massimo. Ma piuttosto che riesca a crescere in maniera tale da far percepire ai “padroni” dei partiti oggi esistenti (come Berlusconi, Renzi, Bonino, per il PD ci sono altri problemi) che da soli non possono andare da nessuna parte e che quindi, se vogliono costruire questa area devono per forza abbandonare l’idea di un partito personale, completamente diretto dal “capo” e recedere, con la pazienza che richiede la gestione politica, verso un partito plurale. Fatto di più capi, di più sensibilità e, magari non farebbe male, anche di regole democratiche sia negli aspetti di contendibilità che in quelli di gestione del partito.
Ecco il partito di Calenda con la sua imprevedibilità, con la sua apparente, e forse reale, ingenuità potrebbe essere lo strumento che fa da collante ai tanti “galletti” che popolano la scena dell’area liberaldemocratica. Per riuscire in questo proposito, per certo versi esaltante, Calenda non deve commettere i due errori commessi “ad libitum” dai suoi dirimpettai.
Il primo è quello di non ripetere in tutto e per tutto il partito personale. Senza regole, senza democrazia, senza procedure: il tutto affidato all’intuito, alla capacità ma anche alle bizze e agli errori del capo.
Il secondo è quello di non fare il partito degli amici e dei fedeli. Cosa che discende abbastanza direttamente dalla prima caratteristica, il partito personale, ma che è stata anche rafforzata dall’idea di un essere un fortino sotto attacco dei nemici.
Calenda cerchi di fare un partito plurale, aperto, contendibile, democratico e cerchi, laddove gli è richiesto di fare delle scelte sulle persone la capacità, il merito, la competenza prima o anche al posto della fedeltà a lui e al suo progetto.
Oggi non si sa bene quale strada intraprenderà Calenda. Noi lo vedremmo bene in un lontano partito con l’amico di strada Richetti insieme a Renzi, Sala, Bonino, Carfagna, Delrio e a quanti altri hanno l’interesse non solo di rappresentarsi ma anche di rappresentare un’idea di rinnovamento di cultura politica nel paese.
Lascia un commento