Lo spazio costruito dall’uomo, lo spazio per eccellenza, la città, lo possiamo guardare e capire solo con uno sguardo obliquo.
La città non è un luogo lineare: è data da un’intersezione di più piani, non solo architettonici, ma sociali, economici, di relazione, storici.
Partendo alla prima fotografia certa della storia, l’eliografia di Joseph Nicéphore Niépce del luglio 1827, Point de vue du Gras, ripresa dalla finestra del suo studio, a Saint-Loup-de-Varennes, che ci mostra appunto una complessa intersezione di piani data da ore posa, con il sole che si spostava in una scrittura multipla, obliqua del paesaggio con edifici che ci appaiono in più visioni, propongo con questa rubrica per SoloRiformisti riflessioni sullo spazio urbano con uno sguardo obliquo, da antropologo, mediato attraverso fotografie.
Ho studiato e collaborato negli ultimi dieci anni con il prof. Paolo Chiozzi (1943-2018), fondatore in Italia dell’Antropologia visuale.
Non sono un fotografo, ma ho pubblicato alcuni libri in cui utilizzo la fotografia come strumento di analisi della realtà sociale, come un appunto dal quale far geminare idee.
Le città attuali hanno una struttura fortemente frattale, non solo nella loro espressione fisica, ma appunto in quella sociale: le città sono piene di “segni” ricorrenti che si inseguono, che l’antropologo deve con il suo bagaglio di conoscenze leggere e restituire a altre figure del pensiero, come politici, urbanisti, architetti. Le città sono piene di “spie” simboliche che ne misurano anche il disagio, le incertezze, le complessità. Una cattiva politica delle città o ignora o copre queste spie, quando invece un’attenta lettura può trarne informazioni di grande rilievo per la pianificazione, per la riforma del tessuto urbano, che si muove tra dentro e fuori che si intersecano senza tregua.
Quello di Niépce è uno sguardo obliquo, del tutto antropologico, e anche ubiquo, in uno spazio che si trasforma, che istruisce gli antropologi a lavorare su più piani, tra il concreto e il simbolico.
Nella città infine non c’è in questo senso una sola antropologia, ma più antropologie, che si intersecano alla ricerca ossessiva non di risposte ma appunto di idee. L’ipotesi dell’architettura, dell’urbanistica, che la città sia un luogo unitario e ordinato, facilmente descrivibile, è del tutto fallace. Anche la città più perfetta, pianificata a tavolino, fondata e costruita secondo regole auree, appena inaugurata – lo stesso vale per un quartiere, un condominio, una strada – inizia una trasformazione imprevista, vi si scrivono regole e linee nuove che l’antropologo può intravedere, non codificare magari, ma appunto intravedere in qualche modo, e poi raccontare, anche attraverso una fotografia, poche righe di appunti, una nota.
Simone Fagioli
Foto: Joseph Nicéphore Niépce Point de vue du Gras (1827).
University of Texas, Austin. Pubblico dominio.
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