Dare un governo alla Francia non sarà facile: ad oggi la coalizione di sinistra non è stata in grado di indicare un candidato accettato da tutti i partner, un candidato di cui si sa solo che non apparterrà a LFI – che sconta defezioni di eletti che confluiscono nel gruppo degli ambientalisti.
Di sicuro il presidente francese Emanuel Macron non ha la simpatia di commentatori, politici ed in generale dell’opinione pubblica: in questo pesa sia l’atteggiamento di supponenza attribuito ai francesi sia da un inconfessato complesso di inferiorità vissuto dagli italiani.
Certo è che le recentissime elezioni francesi, prima le europee poi le legislative per l’avvenuto scioglimento dell’Assemblea nazionale, sono state lette come la definitiva sconfitta dell’esperienza terzopolista tentata da Macron contro il massimalismo della sinistra e contro le tentazioni reazionarie del lepenismo.
Un presidente impopolare, si grida, contro il quale si è manifestato, anche ricorrendo alla violenza di piazza da parte di movimenti diversissimi negli obiettivi spesso uniti solo dal sostegno bipartisan delle estreme contro un presidente delegittimato, senza consenso popolare. Ma come si misura il consenso?
In democrazia, in quella liberale di sicuro, il consenso si misura attraverso libere elezioni, che in Francia comprendono l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, dotato di poteri assai ampi, e l’elezione dei deputati all’assemblea nazionale.
Come funzionano le elezioni in Francia?
Con la riforma del 1962 approvata con un referendum popolare, il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale diretto a doppio turno: per essere eletti al primo turno serve la maggioranza assoluta dei voti. Se nessuno dei candidati ottiene la ottiene, si procede al ballottaggio tra i due candidati che al primo turno hanno ricevuto il maggior numero di consensi. Fino alle elezioni del 1995 la durata del mandato del Presidente della Repubblica era di sette anni, mentre a partire da quelle del 2002 è stata ridotta a cinque anni, per farla coincidere con quella dell’assemblea.
L’Assemblea nazionale francese è eletta, a partire dalla riforma del 1986, con un sistema maggioritario a doppio turno, nell’ambito di collegi uninominali. Nel 2001 è stato modificato il calendario elettorale, assicurando la precedenza delle elezioni presidenziali (che si svolgono normalmente tra aprile e maggio) rispetto a quelle legislative (che si svolgono a giugno) con l’obiettivo di rendere meno probabili le situazioni di ‘cohabitation’ (ossia la compresenza di un Presidente della repubblica e di un’Assemblea nazionale di diverso colore politico).
La coabitazione: i precedenti
Questa situazione si è verificata tra il 1986 ed il 1988 quando al presidente socialista François Mitterrand si affiancò il primo ministro neogollista Jacques Chirac, poi tra il 1993 ed il 1995 quando sempre allo stesso Mitterand si contrappose il primo ministro neogollista Édouard Balladur, l’ultima ma anche la più lunga, durata quasi per l’intera legislatura, tra il 1997 ed il 2002, con il presidente Jacques Chirac, neogollista, ed il primo ministro Lionel Jospin, socialista.
Il consenso del Presidente
Il presidente si sottopone al giudizio degli elettori al momento della prima candidatura sia alla fine del primo mandato, quando va a chiedere la riconferma per un secondo e ultimo mandato che ad alcuni è stato negato, indice di un giudizio non positivo espresso dagli elettori: sono tre i presidenti non rieletti per un secondo mandato (Giscard d’Estaing, Sarkozy, Hollande): George Pompidou, il successore del generale De Gaulle, morì poco prima della scadenza del suo primo settennato.
Un dato che emerge dall’analisi dei risultati delle elezioni presidenziali è che nessun presidente è mai stato eletto al primo turno avendo ricevuto la maggioranza assoluta dei voti: lo stesso De Gaulle, nella prima elezione presidenziale diretta della V repubblica nel 1965, al primo turno ebbe il 44,65% dei voti risultando eletto al secondo turno contro Mitterand con poco più del 55% dei consensi.
Si sono riassunti in una tabella i voti ottenuti da tutti i presidenti che sono stati riconfermati per un secondo mandato al primo e al secondo turno, al momento della elezione per il primo e per il secondo mandato presidenziale
In un raffronto tra Mitterand, Chirac e Macron emerge che i maggiori consensi al primo turno sia nelle elezioni del 1981 che in quelle del 1988 andarono a François Mitterand: 25,85% e 34,1% al primo turno risultando tuttavia eletto al secondo turno, in entrambe le elezioni, con il più basso risultato, 51,76% e 54,2% rispettivamente.
Chirac è accreditato dei risultati più modesti al primo turno : 20,84% nel 1995 e solo il 19,88% nel 2002. Nel 1995 risultò eletto al secondo turno contro Jospin con il 52,65% 52, 65% contro Jospin mentre nel 2002 si trovò di fronte al secondo turno Jean Mairie Le Pen ed il suo Front Nationale che aveva superato di poco il candidato socialista. Fu quella la prima occasione in cui si realizzò l’Union Sacré tra tutte le forze della democrazia repubblicana nata dalla resistenza al nazifascismo e Jacques Chrirac fu eletto con l’82,21% dei voti..
In posizione intermedia tra i due giganti della politica francese si colloca Emmanuel Macron. Nel 2017 si classifica in testa al primo turno con il 24,0% contro tre avversari tutti attorno al 20%, tra i quali è in testa Marine Le Pen che, in una ripetizione della unione per la difesa della Repubblica, viene sconfitta con il 66% dei voti.
E’ un presidente assai contestato, cui si rimprovera un approccio più tecnocratico che politico ai problemi della Francia, che si erge come protagonista del sostegno all’Ucraina attaccata dalla Russia imperialista di Putin (che sponsorizza apertamente Marine Le Pen) ma nel 2022 al primo turno raccoglie il 27,5% dei voti per poi affermarsi al secondo turno con il 58,5% dei voti contro Marine Le Pen. Accanto al movimento lepenista e cespugli, in questi anni si afferma un’altra forza antisistema, il movimento populista di estrema sinistra, filo-islamista ed antisemita di Jean Luc Melenchon, La France Insoumise.
Il 2022: elezioni europee ed elezioni legislative anticipate
Le elezioni europee hanno visto un secco arretramento della coalizione governativa al 14,6%, all’incirca la metà della percentuale ottenuta nelle elezioni del 2022 mentre le opposizioni progredivano e di molto: la destra populista e xenofoba volava ben oltre il 30% così come le opposizioni di sinistra, in particolare con la forte ripresa del PS che arrivava al 13,6% superando i populisti di sinistra di LFI fermi al 10%.
Di fronte alla prospettiva di restare paralizzato nell’azione di governo, Emanuel Macron ha deciso di procedere allo scioglimento anticipato dell’Assemblea nazionale ed convocare nuove elezioni legislative. Contro questa decisione si sono levate grida di indignazione, di denuncia della protervia antidemocratica del presidente che evidentemente alle opposizioni conveniva rimanesse a bollire inchiodato al modesto risultato delle europee.
Ma la scelta di ricorrere ad elezioni anticipate era stata percorsa altre cinque volte nella storia della Quinta repubblica.
Il primo scioglimento dell’Assemblea Nazionale in Francia risale al 1962, sotto la presidenza di Charles de Gaulle dopo che una mozione di censura aveva fatto cadere il governo del premier Georges Pompidou: le elezioni che seguirono videro una netta vittoria del suo partito, rafforzando la posizione di De Gaulle come leader indiscusso della Francia.
Nel 1968, un periodo di intensa turbolenza sociale e politica culminò con il movimento del maggio francese De Gaulle sciolse nuovamente l’Assemblea Nazionale. Le elezioni successive si svolsero in un clima teso, ma ancora una volta De Gaulle uscì vincitore, ottenendo il 46% dei voti e confermando la sua leadership.
François Mitterrand, il primo presidente socialista della Quinta Repubblica, decise di sciogliere l’Assemblea Nazionale subito dopo la sua elezione nel 1981, per capitalizzare il consenso ricevuto e consolidare il suo programma di riforme. Le elezioni anticipate portarono a una schiacciante vittoria del Partito Socialista, che ottenne il 54,37% delle preferenze.
Sette anni dopo, nel 1988, Mitterrand si trovò nuovamente di fronte alla necessità di sciogliere l’Assemblea: il presidente cercava di ottenere un mandato chiaro per affrontare una situazione economica difficile e una crescente disaffezione popolare. Fu una vittoria più risicata, con il 46,6% dei voti.
L’ultimo scioglimento dell’Assemblea Nazionale prima di quello annunciato da Macron è avvenuto nel 1997: Jacques Chirac, eletto presidente due anni prima, decise di azzardare uno scioglimento anticipato nel tentativo di rafforzare la sua maggioranza parlamentare ma il calcolo politico si rivelò errato. Le elezioni portarono infatti alla vittoria della coalizione di sinistra guidata da Lionel Jospin, che ottenne il 38% dei voti. Questo risultato inaspettato costrinse Chirac a convivere con un governo di coabitazione, una situazione in cui il presidente e il primo ministro appartengono a schieramenti politici opposti.
Si verifica tuttavia, con le elezioni legislative del 2022, una situazione inedita per la Francia, nella quale il partito del Presidente ha solo la maggioranza relativa (al primo turno riceve il 25,75% dei voti) né riesce a costruire una coesa maggioranza di coalizione all’interno dell’Assemblea Nazionale. . E solo ricorrendo allo strumento forte, ancorché costituzionalmente normato e utilizzato anche da altri presidenti prima di lui, dell’art. 49.3 il Governo ha potuto affrontare passaggi delicati come l’approvazione della legge di bilancio e la contestatissima riforma delle pensioni. Secondo tale disposizione, il Primo ministro «può, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, impegnare la responsabilità del Governo dinanzi all’Assemblea nazionale sul voto di un projet de loi de finances o di un projet de loi de financement de la sécurité sociale: questo projet si considera adottato, salvo che venga votata […] una mozione di censura depositata nelle ventiquattr’ore successive. Il Primo ministro, inoltre, può fare ricorso a questa procedura per un altro projet o proposition de loi per sessione».
L’utilizzo di questo strumento è stato denunciato e cavalcato dalle opposizioni come uno stravolgimento della democrazia ed ha dato luogo a forti tensioni sociali che si sono intrecciate con altre originate da politiche in tema di ambiente, di agricoltura oltre che alle guerra in Ucraina e a Gaza: tutte a riempire le piazze di Parigi, anche con scontri violenti
Lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e le elezioni legislative del 2024
Emanuel Macron, in conformità ai precedenti, ha sciolto l’Assemblea sulla base di quanto statuito dall’articolo 12 della Costituzione francese, fissando leelezioni legislative anticipate per il 30 giugno e il 7 luglio 2024.
Le elezioni del 30 giugno vedono una eccezionale partecipazione dei cittadini: due elettori su tre (66,71%) si recano a votare, in tutto i votanti sfiorano i 33 milioni, quasi 10 milioni in più del primo turno delle legislative 2022 (22,3 milioni) e 7,5 milioni in più sulle europee di poche settimane prima, il 9 giugno.
L’estrema destra di Le Pen e Zenmour cui si è aggiunto un nucleo di fuoriusciti da LR, i neogollisti, riceve 12 milioni di voti, in crescita di 3 milioni sulle europee ed il RN è al 33,2%, quasi 9 milioni di consensi (28,1%), a testimoniare la gravità delle fratture della società francese.
Le opposizioni di sinistra, raccolte in tutta fretta sotto le insegne del Nuovo Fronte Popolare (Melenchon, PS, comunisti ed ambientalisti) senza un programma condiviso né un leader designato raccoglie quasi nove milioni di consensi (28,1%), ovvero circa 1,5 milioni in più che alle europee.
La coalizione del presidente Macron (Ensemble! e collegati) mette insieme 7,3 milioni di voti, all’incirca gli stessi del 2022 e il doppio di quelli ricevuti nelle europee: Ensemble! Recupera la soglia psicologica del 20%.
I seggi assegnati direttamente con il primo turno sono 76 sul totale dei 577 che vanno a comporre l’Assemblea Nazionale: di questi 38 vanno alla Le Pen, 32 al Nuovo Fronte popolare e solo 2 a Ensemble!
Per sbarrare la strada al Rassemblement nazionale ed impedire l’avvento al potere di una forza xenofoba, antieuropeista, alleata di Putin viene messa in atto la desistenza generalizzata nei collegi rimasti da assegnare dove al candidato lepenista si contrappone, quale che sia la forza politica che rappresenta, il candidato che ha riportato il maggior numero di voti. E il meccanismo ha funzionato, in tutto l’arco di forze che da sinistra a destra si oppone a Bardella e Le Pen: al Nuovo Fronte Popolare vanno 182 seggi, ad Ensemble 168 seggi, RN si ferma a 143 mentre sono 68 quelli dei neo-gollisti di Les Republicains.
Si può discutere su chi ha vinto: in termini di seggi sicuramente l’alleanza di sinistra, in termini di consensi elettorali Marine Le Pen che continua la sua marcia verso l’Eliseo: occorrerà svuotare il bacino del suo consenso politico con una maggiore attenzione alla provincia, alla Francia profonda che si sente messa ai margini e ignorata nelle sue esigenze e nei suoi problemi.
Ha contribuito a fermare il RN il recupero della coalizione presidenziale ma gli eroi che ha consentito che la situazione si sviluppasse verso questi risultati sono stati i neogollisti, Les Republicains, memori della lezione di Jacques Chirac e Charles De Gaulle
Oggetto di un brutale tentativo di annessione nello schieramento di estrema destra di cui si era reso complice il suo presidente Eric Ciotti, la maggioranza dei suoi dirigenti ed elettori ha resistito ottenendo oltre 2 milioni di voti pari al 6,5%. Se avessero ceduto, se fossero confluiti nella galassia lepenista, questa avrebbe una larga maggioranza nell’Assemblea, se non addirittura la maggioranza assoluta.
Quale governo per la Francia
Essendo il Governo responsabile nei confronti dell’Assemblea Nazionale, spetta al Presidente della Repubblica nominare a capo di questo Governo una personalità che possa avere il sostegno della maggioranza nell’Assemblea Nazionale: il mutare dell’orientamento dell’elettorato, può portare a questa coabitazione
Dare un governo alla Francia non sarà facile: ad oggi la coalizione di sinistra non è stata in grado di indicare un candidato accettato da tutti i partner, un candidato di cui si sa solo che non apparterrà a LFI – che sconta defezioni di eletti che confluiscono nel gruppo degli ambientalisti.
De programma condiviso non c’è traccia: quello di LFI, benedetto da Thomas Piketty, è all’insegna del tassa e spendi, un programma da default e fuoriuscita dall’Euro e forse dall’Europa, per non dire delle politiche internazionali, in particolare sul sostegno all’Ucraina, le posizioni di totale adesione alla causa palestinese con scivolate verso posizioni “dal fiume al mare”…
E su tutto incombe il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump
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