Dalla padella (direttamente) nella brace.
Ed a fare i conti con i risultati delle elezioni francesi sarà l’economia transalpina già osservata speciale dell’Europa e -da domenica- sotto la spada di Damocle di Jean-Luc Mëlenchon: il Fausto Bertinotti francese ed acerrimo nemico di Emmanuel Macron.
Tutto frutto della “non politica”, della tattica dell’«argine democratico» e non piuttosto della forza delle idee, dell’attrattività dei programmi e dell’autorevolezza degli uomini.
Del resto il sistema elettorale francese ha dato prova di come al di là delle Alpi sia possibile tutto e -a distanza di una settimana- il suo contrario.
Chissà se sia la bellezza o, piuttosto, la maschera (anche un poco beffarda) della democrazia.
Una cosa è certa: all’apertura delle olimpiadi, la Francia si presenterà al mondo con un “governo di emergenza” (guidato dal fedelissimo Gabriel Attal) ma non con un “Presidente dimezzato” (sebbene abbia perduto moltissimi seggi) come pronosticato da più parti.
Tutt’altro; Macron appare sempre più il “dominus” assoluto della politica francese.
Tanto che quel governo d’emergenza che presiederà sul sereno svolgimento delle gare olimpiche, con ogni probabilità e per l’abilità tattica (la politica è un’altra cosa!) dell’inquilino dell’Eliseo, si trasformerà -come per magia- in un governo tecnico di legislatura (quello che in Italia si direbbe “governo del Presidente”) quale escamotage lampante ad una palese ingovernabita’.
E quell’antidoto pensato per arginare il Rassemblement National e la sua leader Marine Le Pen tornerà utile -come il pane- per mettere le briglie al Fronte Nazionale e gestire un recalcitrante Mëlenchon.
Ancora una volta in Francia vince il sistema, non la politica.
Quel sistema istituzional-elettorale che sembra confinare la democrazia alle soglie dell’Eliseo.
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