Sino al 7 ottobre 2023 la mia percezione dell’ identità di Hamas era sbagliata. Ritenevo ancora possibile il processo di riavvicinamento e di riconciliazione tra le due maggiori fazioni politiche palestinesi. In verità mi sono spesso chiesto perché il Generale Omar Suleiman (per 20 anni a capo dei servizi segreti egiziani durante la presidenza di Hosni Mubarrak) – nonostante l’ impegno tenace – non sia mai riuscito a trovare un punto di mediazione tra i due gruppi https://www.france24.com/en/20081021-rival-political-factions-reach-tentative-accord-palestinian-territories, ma ritenevo che i suoi ripetuti fallimenti fossero dovuti alle interferenze esterne di Iran e Arabia Saudita.
Non c’è dubbio che nel corso degli anni Teheran e Ryad abbiano ostacolato gli sforzi egiziani, ma oggi con il senno del poi, è difficile per chiunque negare che il nocciolo del problema sia stato e sia Hamas. Con l’attacco del 7 ottobre (e in modo molto più nitido rispetto alle quattro precedenti operazioni militari contro Israele) Hamas ha gettato la maschera; e la verità drammaticamente é venuta pienamente alla luce.
Il principale ostacolo alla riconciliazione intra-palestinese (e di conseguenza ai negoziati per la soluzione dei due stati) è rappresentato dalle fondamenta “ideologiche” di Hamas, esemplificate emblematicamente dall’ attentato suicida come mezzo che garantisce agli adepti l’accesso al paradiso, eterna dimora della beatitudine. In effetti le brigate Quassam di Hamas hanno mantenuto costantemente – sin dalla loro fondazione nel 1991 – una forte impronta messianica, piena di richiami alla violenza religiosa necessaria per la distruzione di Israele. Le cosiddette “Martyrdom Operations” ( اِسْتِشْهَادٌ, istišhād) sono e restano uno dei pilastri della dottrina militare di Hamas.
Se da un alto questo elemento rende ancora più grave la responsabilità dei soggetti esterni che per tre decenni hanno finanziato e fornito supporti logistici di intelligence ad Hamas (Iran, ma anche Arabia Saudita, ecc.), dall’altro esso evidenzia un grave errore di valutazione della politica e dell’intelligence israeliana che per ben 17 anni non ha saputo cogliere cosa si nascondeva dietro il duttile pragmatismo degli operativi di Hamas con cui quotidianamente era inevitabilmente costretta ad interloquire (e non solo ai valichi di frontiera).
Nella conduzione di progetti umanitari coordinati tra MAE e Regione Toscana nella striscia di Gaza (allo Shifa Hospital e al pediatrico Al Durra anche a me è capitato di constatare) una maggiore facilità di approccio con le autorità sanitarie di Hamas rispetto alla rigidità i dirigenti del Ministero della Sanità dell’ANP. https://www.nove.firenze.it/a901212332-gaza-martini-subito-un-ponte-umanitario-permanente.htm
Fin qui le percezioni apparenti. Resta il fatto, ma non sono in grado di fornire una percentuale esatta, che la stragrande maggioranza parte dei miliziani delle brigate Quassam spera di morire in combattimento – dopo aver ucciso il più alto numero di israeliani – perché è assolutamente certo gli saranno aperte le porte del paradiso.
La consapevolezza di questo aspetto identitario è decisivo per condurre una analisi politica corretta, ma i giornali non ne parlano e quasi nessuno lo mette in luce. La cultura politica o meglio l’ “ideologia” della organizzazione è un fattore importante per spiegare la continuità strategica di Hamas, dai numerosi attentati suicidi della seconda Intifada ai giorni nostri.
Sono passati più di 20 anni da quando il 27 marzo 2002 al Park Hotel di Netanya, durante una cena per la Pasqua ebraica, Abdel-Basset Odeh – kamikaze arruolato nelle brigate di Al Quassam – si è fatto esplodere uccidendo 30 cittadini israeliani e ferendone 160. Non ne faccio ovviamente una questione di Islam, ma di qualsiasi fanatismo religioso se e quando in cambio di una vita eterna felice incita i fedeli alla violenza omicida, al terrorismo e alla guerra santa.
Per inciso le comunità religiose dovrebbero stare molto più attente agli effetti indesiderabili della fede; altrimenti ha ragione chi sostiene che i secoli passati dalla notte di San Bartolomeo (23/24 agosto 1572) sono passati invano. A livello accademico negli anni scorsi è stato scritto tutto e il contrario di tutto su una presunta conversione “moderata” di Hamas, ma non si è tenuto debito conto (forse perché politicamente scorretto) che – quando c’è di mezzo la fede nella resurrezione – i processi di de-radicalizzazione diventano oggettivamente molto più difficili.
In Israele i politici di destra che si sono opposti all’ ipotesi dei due stati hanno sempre messo sullo stesso piano le brigate religiose Quassam di Hamas e le brigate secolari di Al Aqsa fondate nel 2000 dai leader di Fatah e che hanno operato nella seconda intifada sino al 2007/8. Si tratta di una visione miope perché anche in presenza di azioni terroristiche identiche o analoghe, le motivazioni ideologiche a cui si ispirano i miliziani hanno una grande importanza. Esse, infatti, plasmano il tratto identitario e incidono sui comportamenti dei combattenti e delle organizzazioni di appartenenza anche se all’ esterno dissimulano la loto natura.
I servizi e gli apparati militari israeliani per ovvie ragioni di continuità fisica hanno dovuto intrattenere relazioni quotidiane con esponenti di Hamas a Gaza. Per farla breve non mi sento di escludere che gli israeliani siano stati qualche modo tratti in inganno dalla doppiezza con cui Hamas ha condotto più volte e con efficacia operazioni di deception.
Tuttavia l’arsenale accumulato nel corso di ben 17 anni a Gaza è stato di tali proporzioni e di tale pericolosità da non giustificare bias ed errori di valutazione né dell’IDF né dei servizi e ancor meno degli alleati. E’ un mistero come in tanti anni di governo Netanyau si sia illuso di essere lui a dare le carte quando, invece, dietro le quinte si accumulava una arsenale di guerra di guerra di dimensioni inaudite.
Sotto questo profilo è utile é utile accostare al massacro del 7 ottobre 2023 l’attentato del 27 marzo 2002 al Park Hotel di Netanya – simbolo della seconda Intifada. Serve a comprendere sino in fondo la continuità identitaria, la strategia politica di lungo periodo e gli adattamenti tattici adottati da Hamas negli ultimi 20 anni.
Il dato che salta subito agli occhi a Gaza è l’incredibile potenziamento delle capacità militari e tecnologiche di cui Hamas è stato capace nell’ultimo ventennio. Dal terrorismo “rozzo” degli attentati suicidi e dai primi razzi artigianali si è passati ad un esercito di circa 40.000 miliziani ben addestrati, dotati di armi di ogni tipo nonché di decine di migliaia di razzi, missili a medio e lungo raggio e droni aerei e marini tecnologicamente avanzati (anche se riadattati da UAV’s commerciali) , soprattutto di matrice iraniana e turca.
Come è stato possibile che il governo israeliano abbiano permesso un simile escalation di mezzi? Per tentare una risposta prendo spunto da una esperienza personale a cui dopo il massacro del 7 ottobre scorso ho ripensato spesso. Non ricordo il giorno esatto, ma nel dicembre 2006 insieme all’ assessore Massimo Toschi sono andato a far visita all’avvocato Eli Moyal, attivissimo sindaco di Sderot tra il 1998 e il 2008, scomparso nel 2020 a 67 anni. Il suo ruolo di primo cittadino era difficilissimo perché tutti i giorni doveva fare i conti con una pioggia di razzi dalla striscia di Gaza che colpivano la cittadina e non era stato ancora inventato Iron Dome.
Moyal – fedelissimo – di Ariel Sharon aveva dato una mano a cacciare i gruppi di coloni israeliani recalcitranti (complessivamente circa 10.000) che si rifiutavano di abbandonare gli insediamenti nella Striscia di Gaza. Ci raccontò che l’aveva fatto per fedeltà al suo leader, ma era arrabbiatissimo e molto inquieto per quella scelta politica. Moyal riteneva che abbandonare all’ala militare di Hamas la striscia di Gaza fosse un colossale boomerang strategico, o meglio un errore di portata storica. https://www.jpost.com/israel/sderot-mayor-predicts-the-worst-is-yet-to-come
Oggi i fatti purtroppo gli danno ragione, ma in quel momento e neppure negli anni successivi nessuno ha dato ascolto a Ely Moyal. Eppure quella del sindaco di Sderot era una intuizione profetica. Aveva previsto che mentre i leader politici di Hamas se ne stavano comodi a Damasco (sotto protezione russa) il territorio di Gaza si sarebbe trasformato progressivamente in un gigantesco arsenale di guerra (dotato di una grandissima quantità di armamenti nascosti lungo centinaia di chilometri di tunnel, mimetizzati nel deserto oppure in località sicure perché “protette” ovvero scuole, strutture sanitarie, ambulatori e ospedali) diventando una minaccia “esistenziale” per lo Stato di Israele nonché un potente fattore di destabilizzazione per tutta la regione.
Mentre personalità molto influenti e diversi analisti (me compreso) pensavano che la riconciliazione tra le fazioni palestinesi fosse una necessaria precondizione per riprendere il filo della prospettiva di due popoli e due Stati, il vertice di Hamas aveva preso una strada totalmente diversa. Durante gli ultimi 15 anni in cui ha avuto in mano il controllo di Gaza i vertici di Hamas non ha avuto mai dubbi su cosa scegliere tra welfare e warfare: ha preferito – mentre i dirigenti dell’UNRWA si voltavano dall’ altra parte (se non peggio) – armarsi sino ai denti trasformando i 360 kmq della striscia in una gigantesca base militare. Non mi sarei mai immaginato che Moyal avesse previsto così lucidamente lo scenario di guerra che si sarebbe materializzato 15 anni dopo.
Il massacro del 7 ottobre 2023 illumina anche un altro aspetto di grande rilevo storico rimasto oscuro. Nessuno ha mai risposto alla domanda sul perché – dopo aver vinto le elezioni del 2016 e con Ismail Haniyeh in carica primo ministro del governo di unità nazionale – Hamas abbia deciso di arroccarsi nella roccaforte di Gaza dopo aver scatenato una violenza fratricida di proporzioni inaudite. Lo stesso filo di sangue e di crudeltà atroci collega il golpe fratricida del giugno 2007 al massacro del 7 ottobre 2023. Chi è capace di trucidare i propri fratelli, cosa non sarà capace di fare con i propri nemici?
Dopo l’attacco del 7 ottobre 2023 il golpe contro Fatah appare ai nostri occhi in una luce diversa. Per spiegare il mio punto di vista anche in questo caso prendo spunto da un ricordo personale. Tra il 2 e il 14 giugno del 2007 mi trovavo a Montecatini per il primo Forum israeliano- palestinese, il secondo si terrà a Pisa l’anno successivo. http://www.perlapace.it/da-oggi-il-via-al-forum-per-parlare-di-palestina-israele-ed-europa/
Con il senno di poi non è troppo difficile dare una spiegazione sul perché Hamas avesse a agito in un modo che all’epoca ei fatti sembrava davvero incomprensibile.
L’ attuazione degli accordi di Oslo nel comparto della sicurezza (ed in particolare l’ addestramento militare di forze dell’ ordine e servizi di sicurezza palestinesi da parte “occidentale’ – è stata percepita da Hamas (e anche da Teheran) come minaccia esistenziale alla sua dominazione politico-religiosa-militare della Striscia. Senza il golpe fratricida i miliziani di Al Quassam a Gaza non avrebbe potuto continuare ad agire indisturbati. Tutto Hamas poteva accettare, ma non di perdere Gaza, ovvero la base logistica da cui combattere Israele e possibilmente annientare Israele, lo scopo per cui era stato fondato nel lontano 1987.
Tra l’11 e il 14giugno 2007 la battaglia fratricida fu durissima; Hamas fece uso di feroci tecniche di combattimento per colpire e sconfiggere i “fratelli” palestinesi fedeli di Abu Mazen. Troppo poco è stato scritto su questa importante vicenda storica; sarebbe molto utile che qualche giornalista intervistasse i poliziotti dell’ ANP sopravvissuti che da quel tragico momento sono stati costretti a passare le loro giornate su una sedia a rotelle. Ricordo che la crudeltà delle brigate Quassam (soprattutto di alcuni reparti speciali) colpì moltissimo i medici palestinesi che curarono le loro ferite. Alcuni si chiesero da chi, come e dove i miliziani di Hamas fossero stati addestrati ad usare tecniche di combattimento così feroci.
Oggi possiamo affermare che le implicazioni identitarie e strategiche della ferocia dei miliziani Quassam – emersa negli scontri fratricidi del giugno 2007 – è stato un segnale sottovalutato dalle analisi politiche e di intelligence. Più in generale (forse perché distratti dalle vicende dei foreign fighters e dall’ ISIS) e’ mancata negli ultimi 15 anni un’ analisi accurata ed un monitoraggio costante sulla crescita esponenziale del suo potenziale bellico, sulle strategie “coperte” di Hamas e sulle sue strategie di deception che hanno fatto presa su una parte della politica e dei media israeliani.
In numerose occasioni Benjamin Netanjau si è illuso di poter usare Hamas per contrastare la ANP di Abu Mazen. La destra religiosa ha fatto ancora di peggio. Emblematico in proposito il caso di Bezalel Smotrich, leader del partito sionista religioso e ministro delle Finanze che già nel 2015 ha definito pubblicamente ” l’Autorità nazionale palestinese” un fardello e Hamas un asset”. Nessun sa ancora come e quando finirà la tragedia della guerra in corso, quel che è certo è che Moyal aveva ragione ad arrabbiarsi: paradossalmente nessuno si aspettava che sarebbero stati i falchi a mettere così gravemente a rischio la sicurezza nazionale di Israele.
Non c’è niente di male nel criticare le scelte politiche o militari israeliane (basti citare l’ avvertimento del Presidente statunitense Joe Biden inascoltato da Benjamin Netanyau ) . A mio avviso è opportuno anche ricordare che l’errore più grave del governo israeliano e degli amici di Israele è stato quello di tollerare che per 17 anni i flussi finanziari e i materiali più disparati arrivassero a Gaza per armare Hamas, a tutto vantaggio di Teheran, Ankara e Ryad.
Dopo il 7 ottobre le narrazioni dominanti hanno, viceversa, puntato con successo a cancellare i 17 anni di onnipresenza di Hamas a Gaza. Esse sono ispirate dalla disinformazione russa che – com’ è accaduto per il NO Vax e per l’Ucraina – domina la scena. . https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/RC-9-2024-0124_EN.html Alcuni anni fa quando mi occupavo di Cybersecurity nei circoli diplomatici si stimava una presenza tra Mosca e San Pietroburgo di circa 1500/1800 influencers a libro paga del circuito Telegram, RT e Sputnik news; oggi temo che il numero sia ben maggiore.
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